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Come sconfiggere il nuovo terrorismo

La parola “terrorismo” ci fa tornare in un baleno agli anni ’70. Allora, dopo il fallimento dei moti sessantotteschi, si creò un decennio abbondante di lotta armata che rappresenta per molti versi l’essenza funesta del ‘900 e una vergogna nazionale, in un secolo dominato da deliranti contrapposizioni ideologiche. Anche la DC e il PCI furono trascinati all’interno della logica dello “scontro frontale”. Ogni dialogo diventava difficile, come testimonia la seconda segreteria Fanfani e il difficile mantra dell’Eurocomunismo di Berlinguer, nonché il tragico tentativo moroteo di superare nel civile confronto la cortina di ferro.

Ma oggi come mai, e soprattutto perché, si manifesta una recrudescenza del fenomeno? Non erano finite le ideologie?

In tanto è giusto osservare che l’Italia ha una lunga tradizione di terrorismo e di politica armata, che precede comunismo e fascismo. La giustificazione viene dal modo in cui si è realizzata l’unità nazionale con la piemotesizzazione e con una forte legittimazione dell’illegalità organizzata nella mentalità comune. La tendenza a trasferire sul piano della ragion pura quanto la democrazia e i partiti non riescono a coagulare è un dato di partenza costitutivo di sempre nel definire il rapporto tra massa e potere, come lo chiamava Canetti. La prostrazione per l’inconcludenza dei politici e l’incapacità di fare riforme efficaci trasferisce la sofferenza individuale dal livello psicologico dove nasce, all’arroccamento utopistico dove sfocia, per finire nella pratica soreliana della violenza redentrice. Un disastro antropologico integrale.

Questo status mentale ha caratterizzato da sempre sia la sinistra, divisa tra i compagni che sbagliano e quelli rispettabili, i comunisti di partito e i socialisti riformisti, e sia la destra che ha sempre alimentato nella sua falange estrema il culto della forza sanculotta populista contro il sistema liberale. Due esempi possono bastare: Turati, padre del socialismo, definiva più di cent’anni fa la sua differenza dai comunisti proprio nel fatto che il proprio marxismo non era violento e rivoluzionario, ma gradualista. Mussolini si contrapponeva allo Stato liberale con la mistica della guerra e il culto eroico dell’arditismo. Non mi stupisce per nulla, perciò, che Avanguardia Ordinovista, un movimento di estrema destra che si è formato di recente, abbia chiamato in causa la vecchia causa sansepolcrista della violenza rivoluzionaria e selettiva, tanto quanto non mi stupisce che gli anarchici di estrema sinistra attacchino la Tav con sabotaggi esplosivi, molto simili a quelli che portarono alla morte di Giangiacomo Feltrinelli.

Insomma, l’Italia è anche questo, un paese fragile e disorientato, che ha grandi difficoltà a tenere nei binari della democrazia le punte estreme del proprio malcontento. Oltretutto, vi è anche un secondo motivo legato più alla psicologia delle folle, per dirla con Le Bon, che ad obbiettivi realmente ottenibili con le armi. Laddove il tessuto sociale si sfascia, quando vengono meno i valori tradizionali che cementano il rapporto tra generazioni, ecco che la solitudine e lo smarrimento individuale genera il bisogno di una missione di gruppo, magari con il brivido di sfidare lo stato democratico e il suo farraginoso sistema di neutralizzazione faraonica degli ideali politici.

Di qui nasce il dramma di persone, magari giovani, che si dimettono dalla vita e dai rispettivi doveri per ottenere la sublimazione depressiva del proprio malessere attraverso la guerra fai da te con amici invasati. Che tristezza!

Non si tratta, evidentemente, di enfatizzare nulla, tanto meno la pazzia. Semmai è importante che la struttura istituzionale del governo, con gli apparati di pubblica sicurezza e i servizi di cui dispone, lavori per tenere sotto controllo non gli effetti ma le cause che preparano il terrorismo, sia di matrice politica e sia di matrice fondamentalista, vale a dire la formazione di gruppi che incitano verbalmente la violenza, come faceva Lotta Continua e Ordine Nuovo un tempo, e come oggi fa il proselitismo battagliero dei fanatici negli stadi o dei forconi nelle campagne o dei grillini in parlamento. Dopodiché a ciascuno le sue responsabilità. In particolare l’estremismo di destra è più complesso di quello di sinistra e non meno pericoloso. Non si organizza attorno alla contestazione dell’esistente, attaccando infrastrutture che sono simbolo di una modernizzazione giudicata reazionaria, ma gioca sulla creazione del disordine creativo, dell’eccezione ingestibile, sperando che porti consenso a svolte autoritarie, in questo momento, in fin dei conti, assolutamente impossibili e velleitarie.

Il rimedio al terrorismo di ogni colore è lavorare su una great society, ossia su una comunità forte e ben strutturata, capace di autodisciplina e di autorità, e su una demitizzazione della politica nell’immaginario soggettivo. Come diceva Donoso Cortes, quanto più è forte la dimensione valoriale originaria e comunitaria della persona, espressa in impegni positivi come il volontariato o l’associazionismo religioso, tanto meno la politica trasborda divenendo un feticcio o un idolo di morte. Oggi l’eroismo vero sta nel crearsi una famiglia, nell’inventarsi un lavoro o nel mantenerlo, oppure nel dedicarsi alla ricreazione di uno spazio pubblico fatto di grandi ideali materializzati in amicizie solide che restino nel seno umano della democrazia e dell’umanizzazione. Anche chi da destra prova un certo disgusto per il buonismo aperturista, deve lavorare ad affermare la grandezza dell’auto disciplina con un pizzico di disincanto, creando di se stesso un esempio di fedeltà ai valori umani, calpestati appunto dalla secolarizzazione e dal relativismo. Stessa cosa vale per chi crede da sinistra in un futuro con maggiore uguaglianza, che certo non può passare attraverso una chiamata alle armi dei deboli contro i forti. Non è sopprimendo gli ideali politici, in definitiva, che si elimina il terrorismo, ma vivendoli come virtù e giudicandoli in vista della felicità che permettono di raggiungere.

All’Italia manca la misurazione del relativo davanti all’assoluto autentico, quello sforzo di essere persone normali, comuni, immuni da facili tentazioni al sabotaggio, alla violenza radicale e alla distruzione della propria e dell’altrui vita. Il tasso di terrorismo è proporzionale alla miseria culturale del paese. E la colpa non è della società e della politica, lo si ricordi bene, ma sempre della singola persona e di quello che fa. A chi si fa prendere da queste tentazioni corrosive, bisogna dire: se vuoi essere un eroe, di sinistra o di destra, cerca di non farci tornare agli anni ’70 ma impegnati e sacrificati per il bene degli altri, senza buttare la tua vita fuori dalla storia, portando altri innocenti con te.

L’eversione non è altro che vigliacca e violenta ipocrisia, che un Paese democratico deve reprimere duramente e inflessibilmente, senza guardare in faccia a nessuno.

(foto Federico Borella/Eikon studio)


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