Dopo l’implosione del bipolarismo ed il disfacimento delle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra, sono i partiti ad essere colpiti dalla sindrome della lacerazione. Non ce n’è uno che goda buona salute. E nello stato precario in cui si trovano dovrebbero eleggere il capo dello Stato, attuare un piano di riforme a dir poco ambizioso, mettere mano alla legislazione ordinaria in merito a questioni nodali sulla sicurezza e l’economia, proporsi come strumenti di elaborazione di idee e aggregatori del consenso.
Su quest’ultimo aspetto è meglio sorvolare: da quando i partiti sono diventati caricature di quel che dovrebbero essere, sarebbe menzognero ritenerli soggetti attivi del processo democratico (come prescrive la Costituzione). Già irrilevanti al punto che la loro esistenza in vita (larvale) è surrogata dall’attivismo delle oligarchie che li governano e li rappresentano, quel che resta dei partiti politici è un livido involucro al cui interno si combattono guerre sanguinose tra gruppi più o meno organizzati il cui fine è soppiantare gli oligarchi.
Si dirà che è stato sempre così. Soltanto in apparenza. Un tempo, ancorché le questioni legate alla gestione del potere era pur sempre centrale nei conflitti correntizi, in tutte le formazioni politiche risaltavano motivazioni ideali, culturali e programmatiche delle quali oggi non v’è la benché minima parvenza nella furiosa dialettica che anima la partita politica.
CHE SUCCEDE NEL PD
Il Partito democratico, devastato dalla fuoriuscita clamorosa di Sergio Cofferati che ne è stato uno dei quarantacinque fondatori, non riesce a trovare una dimensione unitaria (che non vuol dire unanimista) accettabile all’ombra di un autocrate come Matteo Renzi, onnivoro al di là di ogni immaginazione già al tempo delle primarie che hanno segnato la fine della vecchia classe dirigente del partito “suicidatasi” per assecondare tale discutibile pratica, ridicola se non fosse tragica per le ripercussioni sulla politica nazionale. Quelle stesse primarie che alcuni frammenti del centrodestra invocano come panacea di tutti i mali che affliggono il loro schieramento che neppure con il cemento armato oggi riuscirebbe a stare in piedi, incuranti del particolare che il metodo per selezione della classe dirigente non basta quando non ci sono idee, in assenza cioè di un progetto che catalizzi il consenso. Fa specie assistere a periodiche pantomime sulla “necessità” di primarie – naif, abborracciate, approssimative e sostanzialmente senza controlli, “fuorilegge” insomma – da parte di esponenti già berlusconiani, mentre provocano la disfatta del partito che le ha inventate. Cofferati ne è l’ultima vittima, ma a Napoli (solo per ricordare un precedente significativo), nel 2011 ridussero il partito ad uno stato larvale, al punto da essere annullate con la conseguenza di spianare la strada al “neo-guevarista” De Magistris al governo della città nella quale Ds, Pds e da ultimo il Pd (cioè sempre la stessa “ditta”) avevano dominato incontrastati per quasi un ventennio. A tacere delle altre centinaia di querelles orchestrate in tutt’Italia da presunti sconfitti e vincitori che hanno ridotto la capacità dei democrat di formulare una vera, chiara, esplicita proposta politica per il futuro del Paese.
CHE COSA RIBOLLE IN FORZA ITALIA
Non diversamente Forza Italia, in assenza della definizione di una percepibile identità politica, è percorsa da tendenze (tanto per non chiamarle correnti) e e dalle scorribande di “gruppettari” che se non mettono apertamente in discussione (e come potrebbero?) il lìder maximo, di certo non l’agevolano nel coltivare il suo curioso e claudicante rapporto con Renzi spargendo quotidianamente veleni tra di loro e sul “patto del Nazareno” del quale il più sfugge alla gente che dimostra, dopo un anno dalla sorprendente stipula, di fregarsene altamente. Se il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, entra in rotta di collisione con il “cerchio magico” dell’ex-Cavaliere come si può immaginare un partito unito sull’essenziale in vista dell’elezione del capo dello Stato e del varo delle riforme? Se un possibile “delfino” come Raffaele Fitto, abile comunicatore del disagio interno, convive con la maggioranza di un partito che sostanzialmente non è più il suo, a giudicare dalle parole e dai comportamenti, come si fa a minimizzarne la portata riducendo il dissenso ad un incontro a colazione, al desco di Berlusconi? Ed i parlamentari “malpancisti” di Forza Italia seguiranno le indicazioni del Capo nell’elezione presidenziale e sull’Italicum?
LO SCENARIO PARTITICO E PARLAMENTARE
C’è tanta voglia di ulteriore frammentazione. Ognuno, da una parte e dall’altra, si porta nel cuore la sua piccola o grande idea di scissione. E se la nuova legge elettorale certificherà, con la soglia di sbarramento prevista, un Parlamento di coriandoli partitici (sarà composto da non meno di dieci gruppi) dal quale verrà fuori ingovernabilità e instabilità, potremmo dire, non so con quanta soddisfazione, che vent’anni di storia politica italiana sono finiti nell’immondezzaio per il semplice fatto che i partiti sono spariti. Il leaderismo esasperato è l’approdo dell’involuzione del sistema plurale in sistema anarchico nel quale gli oligarchi richiamati ricamano le loro trame di potere incuranti di quella democrazia che per quanto insoddisfacente nasceva e si sviluppava tra le gente con quelle arcaiche (così oggi ritenute) modalità di partecipazione che comunque garantivano un rapporto diretto tra cittadini e rappresentanti, molto più di quanto assicurino primarie farlocche e confuse.
Nostalgia delle sezioni? Fin quanto c’erano, i “nominati” (anche nella nuova legge) non esistevano, erano impensabili. Ed il fatto che nessuno osi più raccomandare il ritorno ad un maggioritario, ancorché impuro, è significativo della dissoluzione del rapporto tra elettori ed eletti: i primi vanno sempre meno a votare, i secondi non li conosce nessuno, nascono come funghi ed hanno la loro stessa vitalità, quella di una muffa per intenderci.
Qualcuno ci ridia i partiti, per favore.