È molto difficile oggi parlare di valori dello Stato. I tentativi fatti nel secolo scorso per introdurre criteri etici fissi nello spazio pubblico, sopra la testa dei cittadini, sono finiti infatti nel macero, insieme alle grandi ideologie.
Purtroppo però restano in piedi antichi e nuovi problemi. Forse perché all’essere umano e al suo vivere in società non basta solo la libertà individuale, che in sé è un valore assoluto, ma intervengono altri fattori in gioco: la dignità di ogni persona, lo sfruttamento incontrollato che i forti possono fare sui deboli e così via.
Tale questione è tornata in auge in questi giorni a Roma con il problema della prostituzione. In fondo si tratta di una vicenda quasi esemplificativa delle tante contraddizioni cui possono giungere le democrazie moderne, sempre combattute tra licenza, sfruttamento e coercizione.
Le strade consolari della Capitale sono, in effetti, da anni piene di lucciole, sia di notte che di giorno. Il fenomeno alimenta molti disagi, specialmente in chi abita nelle zone massimamente interessate come la Salaria, ma anche in chi vi passa in macchina. Quando un tempo vi erano le case chiuse, per contro, non solo era garantito il decoro e l’ordine pubblico, ma le condizioni sanitarie delle prostitute e dei clienti avevano maggiori certezze.
Sebbene, ovviamente non fosse garantita in tal modo comunque l’assenza di ogni sfruttamento, è chiaro cioè che la regolamentazione da parte dello Stato costituiva un fattore indubbiamente positivo. Il motivo per cui furono chiuse è che sembrava un’indecenza che fosse pubblicamente permesso qualcosa di immorale come la consumazione del sesso a pagamento. Così è cominciata l’anarchia e le strade si sono riempite di un commercio dei corpi senza controllo.
Oggi il costume è cambiato radicalmente, ma un certo scrupolo morale, talvolta simile all’ipocrisia, riaffiora di continuo. Soprattutto rimangono le difficoltà di garantire che un vizio a pagamento non sia accompagnato con una riduzione a schiavitù di persone costrette a vendersi per vivere, alimentando la criminalità organizzata.
Il sindaco di Roma Ignazio Marino ha voluto riprendere l’idea già circolata e applicata in altri Paesi favorevole alla destinazione esclusiva di alcune vie di alcuni quartieri alla prostituzione. In tal modo, egli dice, si potrebbe sanzionare chi la pratica in altre zone non autorizzate. Ad esempio sarebbe immaginabile un quartiere a luci rosse all’Eur, al di fuori del quale fosse invece vietato battere per strada. Ma si possono inventare anche altre soluzioni analoghe a questa per sostenere ‘l’illegalità tollerata’.
Il punto a mio avviso veramente controverso è la questione morale, perché chiama in causa l’idea di autorità o di potere pubblico che si intende voler dare alla società. Se, ad esempio, si è convinti che lo Stato debba occuparsi del bene personale, stabilendo per legge che il peccato è reato, allora bisognerebbe vietare in modo assoluto la prostituzione ovunque essa venga praticata, nonché infiniti altri vizi oggi perfettamente legali. Ma chiunque ci pensa un pochino capisce che neanche in epoche remote nelle quali l’etica aveva un peso sicuramente maggiore si è mai riusciti ad cancellare per legge il ricorso al sesso a pagamento. In modo contrario si potrebbe ritenere invece che le autorità pubbliche non abbiano un compito morale di questo tipo, e allora sarebbe necessario salvaguardare in tal caso unicamente l’ordine pubblico e la regolamentazione legale, vale a dire arginare i rischi che derivano dallo sfruttamento e i danni che comporta l’evasione fiscale.
Ognuno può farsi la sua idea, ma due cose sono sicure. La prima è che la condotta morale pubblica esprime la somma delle virtù e dei vizi che le persone applicano nelle loro vite. Per cui la guerra alla prostituzione non può essere vinta per legge, ma solo con l’educazione e la formazione delle coscienze.
La seconda è che se si vuole regolamentare la prostituzione lo si deve fare necessariamente senza ipocrisia riaprendo le case chiuse, non certo facendo diventare dei quartieri luoghi liberi o ghetti del vizio, magari poi non intervenendo per converso sul fattore sicurezza che indiscutibilmente definisce il bene comune.
La stessa cosa, d’altronde, vale anche per i casinò o altre forme ludiche. Perché ogni battaglia solo sanzionatoria contro il vizio è una totale idiozia. Uno Stato etico, infatti, non è quello che vieta senza educare, ma quello che stabilisce ordine e legalità sociale nella libertà, sostenendo economicamente quelle istituzioni formative e assistenziali, insieme a quei valori educativi e di civiltà, che esclusivamente possono spingere una persona a non diventare cliente del vizio, ma vero esempio di virtù, convincendo una donna o un uomo a non vendere in nessun modo il proprio corpo per soldi.
Il resto sono veramente pie illusioni, o, peggio ancora, semplici peccati politici.