Ci chiedevamo da tempo dove fossero finiti gli hooligans nordeuropei che fino a poco tempo fa terrorizzavano gli stadi e mettevano a ferro e fuoco quasi tutte le città dove si disputavano incontri calcistici di rilevante interesse. No, non s’erano estinti, come credeva qualcuno dopo la strage dell’Heysel a Bruxelles, dove il 29 maggio di trent’anni fa 39 persone, delle quali 32 italiane, rimasero uccise dalla follia omicida che segnò la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Per la cronaca, oltre ai morti ben seicento rimasero feriti in quella subumana carneficina che nessuno avrebbe dovuto dimenticare.
L’hanno ricordata a modo loro, sia pure su scala minore per fortuna, alcune migliaia di dementi supporter del Feyenoord che hanno scatenato un’insensata e criminale guerriglia a Roma come antipasto della sfida all’Olimpico tra la loro squadra ed i giallorossi.
Tra feriti e danni possiamo concludere che gli olandesi arrivati all’appuntamento sportivo non si sono fatti mancare nulla. Lontani i tempi in cui lo stesso Feyenoord, con l’Aiax ed il Psv Eindhoven, ci deliziavano a suon di gol e di giocate: dobbiamo adesso acconciarci a descrivere ben altre gesta che ci fanno dimenticare quelle sportive.
Sono le gesta degli ubriachi fradici che colgono un’occasione gioiosa per testimoniare le loro frustrazioni, il loro disgusto, il malessere che li nutre, la diffidenza ed il rancore nei confronti della stessa società della quale sono figli, dimostrando quanto un certo insolente permissivismo nordico sia stato in grado di produrre in termini di inciviltà. Sono i frutti, quelli che abbiamo visto irrompere a Roma, di quell’inganno libertario che proprio in Olanda, ma non solo, si è affermato con la brutalità che fa strame di ogni principio di disciplina, di autorità, di ordine, di sobrietà. E, guarda caso, sono gli stessi che indicano spesso e volentieri l’Europa mediterranea, ed in particolare l’Italia, come la sentina di tutti i mali continentali.
Dobbiamo dire che anche noi non siamo immuni da certi atteggiamenti riprovevoli soprattutto in occasione di manifestazioni di massa come alcune partite di calcio: abbiamo avuto i nostri morti, qualcuno anche di recente come il giovane napoletano Ciro Esposito, ferito a morte nelle adiacenze dell’Olimpico il 3 maggio dello scorso anno, in occasione della finale di Coppa Italia è deceduto poi il 25 giugno: l’ultima vittima di un’aberrante concezione dell’appartenenza calcistica.
Per quanto non immuni da piaghe come quelle dell’oltranzismo di alcune tifoserie, dobbiamo pur dire che barbare accensioni di odio e di violenza non ne abbiamo quasi mai esportate: ricordate i serbi sulle gradinate di Marassi soltanto qualche anno fa? Ebbene, a nessun gruppo organizzato italiano è mai venuto in mente di guerreggiare sugli spalti europei o, ancor peggio, di devastare i centri storici delle città ospitanti.
Una lezione ai nordici con il ditino sempre alzato e pronti a farci la morale? Non è il caso. Ma lasciateci dire che se nella presunta civile Europa accade quel che è accaduto a Roma c’è più di qualcosa che non va nel Vecchio Continente le cui contrade sono percorse da delinquenti che nessuno si sogna di fermare forse per un malinteso senso di libertà. E quanto siamo liberi lo sperimentiamo, per esempio, in un giovedì qualunque di febbraio, nel cuore di una città dormiente i cui abitanti poco o nulla sanno di un torneo calcistico minore che ha fatto da sfondo all’apparizione di ignobili figuri per i quali le opere d’arte altro non sono che antichi ed inutili sassi buoni, tuttalpiù, per colpire ignari passanti e poliziotti probabilmente increduli nel dover fronteggiare tanta bestiale imbecillità.