Skip to main content

Non fu un complotto. Non fu un caso

Il crollo della Prima repubblica avvenne fra il 1992 ed il 1993 ma le cose iniziarono prima, almeno cinque anni prima, nel 1987. L’inopinato scioglimento anticipato delle Camere fece sì che, cinque anni dopo, si sarebbe creato l’“ingorgo istituzionale” per la coincidenza delle elezioni del Parlamento e del presidente della Repubblica. Per il dettato costituzionale questo significava che il nuovo presidente sarebbe stato eletto dal Parlamento insediato nel 1992. Di conseguenza, chi avesse avuto rapporti di forza favorevoli in quello eletto nel 1987, avrebbe avuto interesse a spingere il presidente in carica alle dimissioni.

Nelle elezioni politiche che ne seguirono, per la prima volta otteneva un eletto la Lega lombarda, destinata ad essere uno dei fattori trainanti nella crisi del ’92-’93, mentre la Liga Veneta confermava il successo delle precedenti elezioni. Contemporaneamente, a Palermo la mafia decideva di riversare i suoi voti su socialisti e radicali per mandare un segnale alla Dc, dalla quale si riteneva delusa per la conclusione del “processone” con una grandinata di condanne, proprio in quell’anno.

Dunque iniziava ad incrinarsi il rapporto fra la Dc ed alcuni suoi tradizionali serbatoi elettorali (alta Lombardia, Veneto, Sicilia). I socialisti, dal canto loro, ottenevano la più importante affermazione, ma dovevano accettare la presidenza del Consiglio democristiana, in ossequio al “patto della staffetta”, ed entravano “in apnea” in attesa che la mano passasse a loro. Il Pci era definitivamente nell’angolo: in declino elettorale e senza credibili progetti di alleanze. Un anno dopo De Mita conquistava la presidenza del Consiglio – mantenendo la segreteria della Dc – una concentrazione di potere, sempre invisa alla Dc, ed ancor più in vista della scadenza quirinalizia. Ne derivò il patto trasversale fra Craxi, Andreotti e Forlani (l’indimenticato Caf) che lo avrebbe impallinato in breve.

Dunque, mentre si confermava l’effervescenza del corpo elettorale, iniziata nel 1983, gli attori del sistema politico si paralizzavano a vicenda con i giochi tutti interni al Palazzo (la staffetta, le alchimie correntizie in vista dell’elezione del capo dello Stato, l’immobilismo del gruppo dirigente comunista tagliato fuori da tutti i giochi…). Qualche tempo prima, Martelli chiosò icasticamente: “Ci stiamo incartando”, quel che tradiva la sua familiarità con le carte da gioco, ma definiva bene “i giochi sulla carta” del Palazzo. Nello stesso tempo, furono i mutamenti sociali ed economici a scivolare dal passo al trotto e dal trotto al galoppo.

Nel luglio 1987, entrava in vigore l’Atto Unico istitutivo del “grande mercato europeo” la cui piena attuazione era prevista, appunto, per il 1992, quando il trattato di Maastricht prospetterà la nascita dell’euro. E quell’atto prevedeva, fra l’altro, la possibilità per qualsiasi azienda europea di partecipare a gare d’appalto per lavori pubblici in ciascun Paese dell’Unione. Qualcosa che avrà il suo peso nell’orientare i ceti imprenditoriali a considerare non più economicamente accettabile la prassi tangentizia che, sino a quel punto, era stata regola costante. A novembre il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati registrava una punta altissima di sì alla tesi ostile ai magistrati.

Il risultato sarà vanificato dalla legge che il Parlamento approvò poco dopo, ma la vicenda scavò un solco profondissimo fra magistratura e classe politica (socialisti in particolare). D’altra parte, a far salire la temperatura contribuivano anche il riemergere, proprio nel 1987, di vecchie partite non regolate ed iniziò a ribollire il fondo limaccioso delle inchieste per strage: la Corte d’Assise di Venezia condannava in primo grado i responsabili della strage di Peteano, e, con loro, diversi ufficiali dei Cc responsabili dei depistaggi, nello stesso tempo, tornava in Italia Stefano Delle Chiaie e prendeva avvio la prima Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi.

Tutti avvenimenti che porteranno, due anni più tardi, al caso Gladio che, con le inchieste di mafia e quelle di Mani pulite costituirà il tridente che trafiggerà il sistema. Ed anche alcuni equilibri internazionali che avevano garantito l’inamovibilità della classe politica italiana per quasi mezzo secolo. In Urss il progetto di rinnovamento gorbacioviano iniziava ad accusare i primi colpi a vuoto e non riusciva a trarsi fuori dalla trappola afghana e, pertanto, si avviava rapidamente verso la crisi finale del 1991.

Peraltro anche alcune scelte del Parlamento contribuirono a porre le premesse di quel che sarebbe accaduto da lì a poco. Sempre in quell’anno, uno dei due rami del Parlamento approvò la riforma del codice di procedura penale (definitivamente approvato due anni dopo), sostituendo il rito accusatorio al precedente rito inquisitorio. Quel che avrebbe comportato un deciso protagonismo della procura nella fase istruttoria, soprattutto grazie all’eliminazione della figura del giudice istruttore. Il passaggio al rito accusatorio si rivelerà uno degli elementi determinanti per dar vita a quel “circuito mediatico-giudiziario” di cui sarebbe vissuta “Mani pulite”. Come si vede, da quegli anni partono una serie di fili che poi si intrecceranno cinque anni più tardi per stringersi al collo della classe politica. Grande è la tentazione di dare un “principio ordinatore” agli avvenimenti, cercandolo in un “grande complotto”.

Ma basta scorrere la serie di avvenimenti per comprendere che quello che è accaduto è la risultante di diversi progetti politici non riconducibili ad unità ed anche di errori, ritardi o pura casualità. Ad esempio, si può pensare che il caso Gladio faccia parte, insieme a Tangentopoli ed all’istruttoria palermitana di Caselli, di un unico piano ispirato dal Pci? Ma, in questo caso dovremmo pensare che Giulio Andreotti (che aprì la strada al giudice Casson) fosse complice dello stesso progetto che lo vedeva imputato a Palermo per collusioni con la mafia ed a Perugia quale mandante dell’assassinio Pecorelli. Oppure dovremmo pensare che il ministro guardasigilli, il socialista Vassalli, abbia coscientemente lavorato a potenziare il ruolo di quelle procure della Repubblica che avrebbero affossato il suo partito.

Un processo storico, come quello che portò al crollo del sistema politico fra il 1992 ed il 1993, non può essere ridotto alla dimensione di un complotto più o meno articolato. L’aspetto prevalente è quello delle trasformazioni sociali, politiche ed economiche di ampio respiro (che non sono mai riconducibili alla volontà ed all’operato di un singolo attore) e il parallelo processo di chiusura autoreferenziale del sistema politico. La storia è sempre la risultante di azioni intersoggettive.

Questo, tuttavia, non impedisce che, all’interno di questi processi, possano inserirsi anche i “complotti”, le “congiure” o i colpi bassi di qualcuno degli attori che risultano efficaci proprio perché si inseriscono in questo tipo di dinamiche e riescono a sfruttarle a proprio favore. E nel 1992 quei processi di sfaldamento giunsero al punto critico: le elezioni segnarono una clamorosa vittoria della Lega ed una parallela sconfitta di tutti i partiti della maggioranza governativa (non era più accaduto dopo il 1953), la frattura con la mafia si fece manifesta e cruenta, prima con l’uccisione di Salvo Lima (messaggio chiaramente inviato ad Andreotti) e dopo con la strategia stragista dei corleonesi; l’elezione del presidente, trascinatasi stancamente fra cento manovre di corridoio, precipitò drammaticamente nel giro di poche ore sotto la violenta pressione dello stragismo mafioso.

Nello stesso tempo lo smantellamento delle Partecipazioni statali e l’avvio delle privatizzazioni stimolò la nascita di una serie di progetti speculativi che, per massimizzare il vantaggio, meditavano di congedare una classe politica troppo pretenziosa, per collocarne un’altra “più trattabile”. In questo quadro da “rompete le righe” si svolsero l’inchiesta di Mani pulite e la campagna referendaria contro il sistema proporzionale che determinarono, nei fatti, una rottura costituzionale. E di questo ci sarebbe molto da scrivere, ma magari in altra occasione. Per ora ci accontentiamo di constatare che il sistema non crollò perché ci fu Mani pulite ma, al contrario, Mani pulite ci fu perché stava crollando tutto.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter