“Dubito che la notizia dell’arresto del sindaco di Ischia e qualche suo presunto complice sarebbe finita sulle prime pagine dei giornali, se nell’ordinanza non fossero stati citati D’Alema, Tremonti, Lotti o qualche altro personaggio di richiamo”. È uno dei passaggi più rilevanti dell’intervista al Corriere della Sera con cui Massimo D’Alema critica aspramente la pubblicazione di “colloqui fra persone terze del tutto privi di valenza penale”.
Un j’accuse su cui Formiche.net ha interpellato Claudio Velardi, fondatore de “Il Rottamatore” ed esperto dei rapporti tra lobbying e comunicazione istituzionale che con l’ex premier D’Alema lavorò a Palazzo Chigi nel 1998-1999.
Condivide le valutazioni di Massimo D’Alema?
Il presidente della Fondazione ItalianiEuropei ha certamente ragione. Ma non può svegliarsi oggi, nel momento in cui viene colpito direttamente. Così come non possono farlo i rappresentanti di destra quando è coinvolto il mondo conservatore e gli esponenti di sinistra quando è chiamato in causa quello progressista. La politica dovrebbe unirsi per rispondere all’offensiva ventennale della magistratura e riprendere lo spazio che le compete.
È in grado di farlo?
La dinamica perversa delle intercettazioni è frutto della tenaglia che magistratura e media hanno stretto alla gola della politica circa 22 anni fa. Un pesante condizionamento provocato dalla fragilità di un ceto partitico che pure aveva le proprie responsabilità nel malaffare e nella corruzione. Un fenomeno che negli ultimi anni ha trovato nel veicolo delle intercettazioni lo strumento più sofisticato di affermazione.
Ritiene che la stampa abbia gravi responsabilità in un simile processo?
È innegabile che il pubblico ministero titolare dell’inchiesta sulla vicenda Ischia riscuota una rinnovata risonanza mediatica grazie all’amplificazione giornalistica dei colloqui registrati nel corso delle indagini preliminari. Un magistrato che non è stato mai chiamato a rispondere delle tante attività investigative fallite e sfociate in un nulla di fatto. Ma che come un martire griderebbe al “complotto architettato contro chi mette sotto accusa i potenti” se la politica avesse il coraggio di intervenire. La stampa è ben felice di partecipare a tutto ciò, rivestendo un ruolo ancillare verso il protagonismo delle toghe.
La politica riuscirà ad approvare regole che vietino la pubblicazione delle intercettazioni prive di rilevanza penale?
No, perché non ne ha la forza. Nell’eventualità che lo facesse la magistratura perderebbe il grosso del proprio potere, cioè la capacità di trovare nei mass media l’eco delle inchieste. E insorgerebbero i giornalisti, affiancati dai professoroni pronti a tuonare contro l’avvento della “democratura”.
È per questa ragione che negli anni al governo i progressisti non hanno promosso nessuna riforma riguardo un tema così delicato?
Senza dubbio. Anche i politici di sinistra erano intimoriti da un’opinione pubblica giustizialista e forcaiola. E temevano i lettori di giornali con la bava alla bocca in attesa di intercettazioni. Un fenomeno di voyeurismo vergognoso.
L’ex leader dei Democratici di sinistra esorta Consiglio superiore della magistratura e Associazione nazionale dei magistrati a un controllo più rigoroso verso le toghe. Ma non parla di intervento legislativo.
D’Alema nutre le stesse paure di tutti gli altri politici. È facile immaginare che i fautori di un provvedimento normativo vengano accusati di voler imporre il bavaglio ai magistrati per finalità inconfessabili. CSM e ANM faranno “marameo” all’ex premier, e tutto proseguirà come prima. Grazie alla risonanza della stampa, la magistratura sopravvive come super potere che può mettere alla gogna chiunque. Non può riformare se stessa. Deve metterla al proprio posto un potere esterno come la politica.
Il governo di Matteo Renzi può farlo?
Renzi non ama le toghe, e non è ricambiato. Guida l’esecutivo più forte degli ultimi 30 anni, e potrebbe avere il coraggio di procedere. Ma anch’egli è fragile di fronte al populismo canagliesco dell’opinione pubblica.