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La Buona Scuola, ecco come sbagliano i sindacati

Del programma ‘’La buona scuola’’ Matteo Renzi, con la propensione alla propaganda di cui Madre Natura lo ha dotato, aveva fatto uno dei capisaldi dell’azione politica del suo Governo. Il 5 maggio dovrà ‘’farsi una ragione’’ dello sciopero nazionale proclamato dai sindacati di categoria.

Le motivazioni dell’astensione dal lavoro – succede sempre così quando c’è di mezzo un settore della pubblica amministrazione – si aggrappano ai contenuti dei nuovi ordinamenti scolastici che l’esecutivo intenderebbe introdurre (in particolare il concetto di autonomia e l’impostazione manageriale dei capi d’Istituto anche nella gestione delle risorse riservate a premiare il merito).

I sindacati restano abbarbicati ad una visione statalista della pubblica istruzione, come branca gestita verticalmente e centralmente. E’ anche per questi motivi che gli stipendi dei docenti sono bassi: nella scuola, in pratica, non esiste contrattazione decentrata. Come ha scritto l’Ocse, in Italia, pur a fronte di un’elevata spesa per il personale, gli stipendi medi per ora lavorata appaiono inferiori a quelli medi esteri e le carriere sono ‘’piatte’’.

Il problema vero dello sciopero, però, è quello della c.d. stabilizzazione dei precari. Inevitabilmente, sarà questo aspetto a condizionare e a (s)qualificare l’iter legislativo del provvedimento. Il premier/segretario e il ministro Stefania Giannini hanno promesso, in proposito, di più di quanto siano in grado di mantenere.

Tutto il sistema politico e sindacale si muoverà in quella direzione, nell’intento di attribuirsi o di condividere il merito (altro che meritocrazia!) di un’iniziativa degna delle ‘’ope legis’’ in gran voga ai tempi della prima Repubblica. Ma bisogna reperire le risorse. E i numeri, come al solito, ballano.

Occorrerebbe, poi, interrogarsi sull’utilità di un’operazione siffatta. Sempre l’Ocse indicava, tra gli interventi di razionalizzazione del nostro sistema scolastico, la graduale ma costante riduzione del numero medio degli insegnanti (e del personale non docente) per alunno e l’utilizzazione delle risorse così risparmiate per sostenere altre componenti di spesa: il patrimonio edilizio scolastico (che cade a pezzi), i servizi agli studenti, la valutazione dei docenti, l’incentivazione e la formazione degli insegnanti e dei dirigenti, l’educazione degli adulti.

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