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Il sindacato secondo Renzi e la coda di paglia dei sindacalisti

Evocando l’esigenza di un sindacato ‘’unico’’, Matteo Renzi ha soltanto sbagliato aggettivo oppure ha svelato una volta di più la natura autoritaria del giovane caudillo? E’ ‘’unico’’, infatti, il sindacato di regime nei Paesi totalitari, essendo la libertà sindacale – fondamentale in ogni democrazia – prima di tutto garantita dal pluralismo. Questo è il senso del primo comma dell’art.39 della Carta (‘’L’organizzazione sindacale è libera’’), il solo ad avere contenuto precettivo.

Negli anni gloriosi in cui le Confederazioni ‘’storiche’’ si impegnarono a fondo per realizzare la riunificazione sindacale (abortita poi come corollario della conventio ad excludendum riservata al Pci), le grandi personalità del passato (nonostante talune sbavature) si posero l’obiettivo di un sindacato ‘’unitario’’ (che doveva ricomporre i ‘’pezzi’’ della Cgil del Patto di Roma), che magari sarebbe stato un interlocutore privilegiato dalle controparti sulla base di una loro libera scelta; non immaginarono mai, però, che la loro unità potesse trasformarsi in una condizione esclusiva, addirittura lesiva della fondamentale libertà di associazione.

L’uso di un aggettivo improprio – e sospetto – da parte del premier ‘’maleducato di talento’’ ha consentito ai leader sindacali di nascondere l’enorme coda di paglia che si portano appresso – senza vergogna – da quando hanno rinunciato a perseguire un progetto di unità sindacale organica, ereditato dai loro ‘’padri’’ e maestri.

A voler ricorrere a un paragone mitologico, potremmo definire il movimento sindacale di oggi una specie di “Atlantide rovesciata”: all’opposto del continente misteriosamente inghiottito dai flutti, da noi è stato sommerso dalle acque tutto il resto. Il sistema politico dell’immediato dopoguerra, rimasto immutato durante la Prima Repubblica (sistema di cui il sindacato era proiezione organica), è scomparso; ma il sindacato è ancora lì, sostanzialmente uguale a prima e al ‘’se stesso che fu’’.

Mentre l’economia richiede un mercato del lavoro più flessibile, il sindacato continua a considerare i nuovi rapporti giuridici – una “zona grigia” che si amplia ogni giorno di più e spesso rappresenta la componente più innovativa del mercato del lavoro – come anomalie e deviazioni, quasi sempre truffaldine (Hic sunt leones), rispetto al modello standard del rapporto di lavoro dipendente a orario pieno e a tempo indeterminato proprio della società industriale.

Alla ricerca di un nuovo grembo materno, il sindacato è andato a rifugiarsi nel pubblico impiego, perché solo lì resta in grado di agire, al riparo delle guarentigie normative dei dipendenti pubblici e delle tutele di fatto che la mancanza di concorrenza assicura.

Se si dovessero analizzare la tipologia e la qualità delle iscrizioni ai maggiori sindacati, oltre al caso dei pensionati, scopriremmo sicuramente che la grande maggioranza dei dipendenti sindacalizzati opera nei settori che dipendendo, in un modo o nell’altro, dai flussi di spesa pubblica e che non devono affrontare la sfida della concorrenza.

Oggi le grandi confederazioni si dichiarano divise sulla strategia (che non hanno). Nell’inerzia del ministro Poletti, esse esercitano ‘’modelli perversi di concorrenza’’ che non aiutano neppure il dialogo sociale. E il Governo non intende scegliersi la controparte nella confederazione, la Cisl, che è più disponibile al confronto. Anche in questo caso vale il detto che la moneta cattiva scaccia la buona. Le posizioni della Cgil (e della Fiom) finiscono per mettere fuori gioco tutto il sindacato.

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