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Ecco come i dirigenti statali rispondono a Renzi, Madia e Visco

Nel corso dell’assemblea annuale della Banca d’Italia il governatore dell’Istituto di Via Nazionale Ignazio Visco ha pronunciato parole molto forti riguardo l’apparato statale. Puntando il dito contro “un personale troppo vecchio, poco specializzato in termini formativi e linguistici, auto-referenziale nelle valutazioni professionali”.

Le ragioni di un confronto

Riflessione che ha trovato una risposta altrettanto rigorosa nel convegno “Politici e burocrati: quasi amici?”, promosso dall’Associazione Ex Allievi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (Sna) presso il Forum Pa in corso al Palazzo dei Congressi di Roma.

Cornice che fornisce a dirigenti pubblici, giuristi e studiosi l’opportunità di un confronto aperto e di una riflessione critica sugli effetti della riforma governativa approdata a Montecitorio dopo il via libera del Senato.

“Andare oltre un conflitto sterile”

Un provvedimento, ha rilevato il presidente degli Allievi Sna Alfredo Ferrante, che finora è rimasto bloccato nel conflitto tra l’offensiva di Matteo Renzi contro “i burocrati fannulloni” e una reazione di retroguardia da parte di funzionari e dirigenti.

Per ricostruire un rapporto di fiducia reciproca – fattore essenziale per la neutralità dei poteri nei confronti del cittadino – il manager del Ministero del Welfare ritiene fondamentale valorizzare le professionalità del capitale umano attivo nella Pa. Approntando parametri efficaci di valutazione per i responsabili degli uffici, “che devono rientrare in gioco per governare la macchina statale secondo principi di responsabilità”.

“Personale di qualità in un contesto bizantino”

È da tale ragionamento che trae spunto il presidente dell’Istituto nazionale di previdenza sociale Tito Boeri: “Nella veste di commentatore ho più volte messo in rilievo la presenza di un ‘governo ombra’ formato da tecnocrati e burocrati, in grado di promuovere o bloccare processi di vario genere grazie a una stabilità e a un monopolio di conoscenze più forti della precarietà dei governi politici. Poi, una volta assunto un compito pubblico, ho potuto accorgermi dell’elevata professionalità del personale amministrativo pur in una cornice organizzativa bizantina e assembleare”.

La ricetta di Tito Boeri

Panorama che ai suoi occhi rende non più rinviabile un profondo mutamento della Pa. A partire dall’adozione del ruolo dirigenziale unico fra le amministrazioni pubbliche e della rotazione dei manager: “Fondamentali per evitare la fossilizzazione e la stagnazione del capitale umano”.

Altro passo da compiere per l’economista è la ricerca e l’individuazione di standard retributivi nazionali per misurare il tasso di produttività e qualità dei servizi.

Il terzo problema illustrato da Boeri è rappresentato dai metodi di selezione dei dirigenti medio-alti, “finora troppo legato a criteri fiduciari e politici”. Per tentare di risolverlo, è la sua convinzione, bisogna coinvolgere persone provenienti da realtà esterne per immettere competenze nuove nell’apparato pubblico.

“Manager più vulnerabili nei confronti dei politici”

Una critica sferzante al provvedimento promosso dall’esecutivo è manifestata da Carlo Deodato, Consigliere di Stato ed ex capo del Dipartimento Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio nel governo Letta.

A suo avviso il testo riflette l’atteggiamento di diffidenza coltivato dal premier nei confronti della macchina statale. E produce effetti nocivi, “poiché rende l’apparato pubblico più fragile e permeabile rispetto alle interferenze illegittime del ceto politico”.

Un piano, osserva il giurista, focalizzato troppo sul reclutamento e attribuzione degli incarichi al fine di consentire al governo di turno una scelta arbitraria dei manager.

“No al ricambio totale dei dirigenti”

Tale visione, evidenzia l’alto magistrato amministrativo, trova conferma nella regola che prevede la fungibilità e il ricambio assoluto nei ruoli tra persone che hanno effettuato un percorso formativo e professionale differente.

“Allo stesso modo dovrebbe essere rivista la facoltà di licenziare e far decadere il manager che resta inattivo contro la propria volontà. Norma che viola il diritto al lavoro e presenta profili di illegittimità costituzionale”.

“Sbagliato riversare premi e penalizzazioni in busta paga”

La mobilità introdotta dalla riforma Renzi-Madia nel mondo della Pa, ha rimarcato la professoressa di Management pubblico presso l’Università di Tor Vergata di Roma Denita Cepiku, non può avere una finalità punitiva per colmare le carenze del ceto politico. Bensì privilegiare nel lungo termine i rapporti di responsabilità tra élite amministrativa e cittadini.

È per questo motivo che la studiosa critica i parametri di valutazione delle performance dei manager introdotti dal governo: “Ritengo sbagliato intervenire sul versante retributivo tramite bonus in busta paga per i comportamenti virtuosi e penalizzazioni economiche per quelli non corretti”.

“La Pa accetti la sfida del cambiamento”

Argomentazioni e rivendicazioni che hanno raccolto un’accoglienza critica nella parlamentare del Partito democratico e vice-presidente del Senato Valeria Fedeli: “Le innovazioni previste dall’esecutivo rientrano nel percorso di cambiamento messo in cantiere dal governo in tutti i campi nevralgici. Una sfida portata avanti prima di tutto attraverso un linguaggio ostile verso i ritardi della burocrazia statale e locale. Ma a cui il mondo della Pa non può rispondere con lo spirito di un contro-potere ancorato alla conservazione dello status quo”.

Anziché condannare l’introduzione del ruolo unico dirigenziale  favorendo nell’opinione pubblica la percezione di un atteggiamento contrario al rinnovamento, la rappresentante della minoranza del Nazareno richiama l’esigenza di puntare su criteri di trasparenza per la selezione e valutazione di qualità del personale amministrativo.

Capaci di coinvolgere compiti e retribuzioni di tutti i manager pubblici, senza escludere le misure approntate da Raffaele Cantone contro la corruzione nell’apparato burocratico.



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