La parabola di Matteo Renzi è alla fine? È molto probabile, a mio avviso. Oltre mille comuni al voto, elezioni in Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche Campania e Puglia. Un dato quindi che non può non avere un forte rilievo politico. Intanto, hanno votato in pochi. Per le amministrative erano andati al seggio il 64,94% degli aventi diritto, per le regionali il 53,90%. Dieci punti in meno rispetto alle precedenti elezioni regionali.
Poco rispetto ai dati precedenti. Il Partito Democratico perde circa il 40% dei suoi consensi rispetto alle europee e lascia sul terreno il 25% rispetto alle ultime elezioni. Insomma, il PD ha perso la Liguria, regione storicamente a sinistra, perché si è presentato non solo con due leader aventi una linea politica opposta, ma con una offerta politica che favoriva da un lato il Movimento 5 Stelle, dall’altra le liste della sinistra “antagonista” sorte fuori dal Partito Democratico. Tra i due contendenti minoritari, ha vinto Giovanni Toti, che non è ligure ma massese, che ha tenuto insieme il suo partito, Forza Italia, uno dei gruppi più frazionisti della storia politica nazionale, peggiore addirittura del vecchio Partito d’Azione. In Toscana, Enrico Rossi ha, come era nelle previsioni, vinto. Ma il caso del governatore Rossi è un unicum.
Enrico Rossi non ha nulla a che fare con il renzismo, ma si è appoggiato (o, meglio, Matteo Renzi si è appoggiato a lui) al presidente del Consiglio per evitare la fronda interna al partito. Renzi ha scelto il cavallo favorito, Rossi ha utilizzato il presidente per chiudere alcuni conti aperti dentro il PD. Rossi è la grande macchina della sanità, in Toscana, e il patto con Renzi era chiaro: ti assecondo nel territorio fiorentino, ti unisco l’aeroporto di Peretola con il “Galilei” pisano, ma fai votare i tuoi per me. La macchina del consenso politico ha funzionato, oliata a puntino, per il governatore Rossi, uomo totus politicus come pochi.
Ma in Toscana è arrivato al 20% Claudio Borghi Aquilini, il candidato della Lega e di Fratelli d’Italia, un successo imprevedibile in una regione fortemente radicata a sinistra. Si tratta evidentemente di un voto di netta opposizione al governo. Luca Zaia ha governato bene il Veneto, e si prende un 50,1%, ma Alessandra Moretti, la candidata puramente “renziana” del PD crolla al 22,7%. Dopo una serie infinita di gaffe.
Ovvero: quando Matteo Renzi impone uno dei suoi (o delle sue) nell’agone elettorale, c’è il tracollo. Quando invece il Presidente del Consiglio si “appoggia” ai vecchi leader regionali, spesso lontanissimi dalle sue posizioni politiche, il PD vince. È il caso, oltre che di Enrico Rossi in Toscana, di Vincenzo De Luca in Campania, di Michele Emiliano in Puglia, di Ceriscioli nelle Marche, della Marini, che andava alle urne con una coalizione fortemente caratterizzata a sinistra, in Umbria.
Renzi ha giocato al gioco della “rottamazione” nei confronti del suo partito, e soprattutto ha puntato a fare il vuoto intorno ai vecchi leader. Ma sono loro che “tengono” il territorio, che non si gestisce a furia di televisioni e di trovate para-pubblicitarie. Quindi Renzi ha dimostrato di non avere il polso della situazione del PD, che è un partito, certamente, “gassoso”, come dice giustamente Massimo Cacciari, e comunque ha bisogno di una leadership vera e credibile, che evidentemente Matteo Renzi e il suo gruppo non riescono a garantire.
I dirigenti della presidenza del Consiglio chiamano Renzi “last minute”, perché si muove sempre all’ultimo momento e non studia i dossier. Non si tratta di inventare slogan, la questione vera è di risolvere problemi giganteschi che sono marciti proprio perché, per venti anni, si è solamente “comunicato”. È figlio, il presidente del Consiglio, della vera maledizione dell’Italia dopo la cessazione della cosiddetta “Prima Repubblica”: la mania, appunto, della comunicazione. Qui non si tratta di fare i simpatici, di essere “alla mano”, per usare una espressione che Ennio Flaiano odiava, ma la questione vera è saper studiare i problemi, approfonditamente.
Fare meno chiacchiere, meno seduzione politica, quella che dura, come ci spiegano gli studiosi, il tempo di uno spot televisivo. Non si tratta di far sorgere “sensazioni” sentimenti o di creare identità affettive fittizie. Renzi, lo dicono in tanti, sta cadendo nello stesso errore di Berlusconi: nessun partito sul territorio (ritenuto ingenuamente “vecchio” come organizzazione) e tanta televisione, narrazione, storytelling, seduzione, mitizzazione di quel poco che si è fatto, manipolazione informativa di quel tanto che si deve ancora fare. Certo, il partito sul territorio costa, si deve andare sempre alla conta degli amici e dei nemici, ma è la politica della Realtà, non l’advertising della finzione.
Per non parlare poi dei rapporti tra Roma e Bruxelles. Il tenue dialogo che c’era fino a poco fa si è trasformato in un monologo, naturalmente da parte della burocrazia europea. Il governo attuale non conta un piffero, in Europa e oltre. Gran parte dei dossier di politica estera e di sicurezza sono stati tolti a Federica Mogherini e affidati ad altri. Questo vale anche per altre materie. Tragica è stata la lettera della madre del parà deceduto David Tobini, Annarita Lo Mastro, in cui si faceva notare che la povera donna non era mai stata ricevuta dal presidente, che invece aveva ricevuto delle pallavoliste.
La mimetica va saputa portare, dice la signora Lo Mastro, e non ci si riferiva qui alla eleganza naturale, peraltro scarsa, del presidente del Consiglio. Era il grido della dignità e dell’eroismo che una madre lanciava contro l’immaginario, la pubblicità, la “comunicazione” sempre fine a se stessa. La stima intellettuale che è essenziale, per un capo del governo, è minima per Renzi, tra i leader della Ue. Alcune uscite fuori dai confini europei hanno lasciato perfino meravigliati i capi di Stato e di governo del Mediterraneo e in Gran Bretagna. Purtroppo, ne fanno le spese anche i migliori funzionari internazionali di cittadinanza italiana, che peraltro sono sempre meno, a Bruxelles come a Strasburgo e alla Nato.
Una desertificazione delle competenze proprio quando Matteo Renzi parla, continuamente, di proiezione economica e finanziaria del nostro Paese. È quindi probabile che, se il PD non si trasformerà nel “partito della Nazione” che immagina Matteo Renzi, questo porterà ad una notevole diaspora politica a sinistra (ma non solo a sinistra) e non vi sarà un punto di riferimento parlamentare. Allora il governo del ragazzo di Pontassieve, la città di Nada, la “ragazza di Bube” resa famosa da Carlo Cassola, ruinerà. Il verbo è tipico del Machiavelli, e in questo caso ci sta benissimo.