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Che cosa penso di Enrico Berlinguer (e di Beppe Grillo)

Giorni da ricordare il 9, 10, 11 di giugno, peraltro tenuti insieme da un comune destino. Il 9 e il 10 giugno del 1985 si svolse il referendum per l’abrogazione del decreto legge del Governo Craxi che, il 14 febbraio 1984, allo scopo di contrastare il mostro a due teste (e a due cifre) dell’inflazione, aveva tagliato, sulla dinamica della c.d. scala mobile, tre punti di quelli previsti e programmati nel corso dell’anno. Il referendum era stato promosso da Pci che aveva duramente contrastato quella misura (insieme alla maggioranza comunista della Cgil, mentre la Cisl, la Uil e i socialisti della Cgil l’avevano condivisa). L’esito del referendum fu clamoroso ed inatteso perché stravinsero i No con 3 milioni di voti di scarto. Quel risultato segnò la fine del diritto di veto del Pci in tema di lavoro.

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L’11 giugno del 1984 era morto, sul campo, dopo un comizio elettorale a Padova, il leader del Pci Enrico Berlinguer. Quell’evento tragico, che commosse profondamente l’opinione pubblica, fu determinante nel convincere  il gruppo dirigente comunista ad onorarne la memoria promuovendo appunto il referendum sulla questione che aveva rappresentato l’ultima battaglia del segretario scomparso. La vicenda di Berlinguer è stata ricordata ieri sulla terza rete Rai con la proiezione del film/documentario di Walter Veltroni. Non ho notato altre iniziative. Enrico Berlinguer (si parva licet) era un mio avversario politico. Non credevo, allora, come non credo adesso, che la sua politica – soprattutto nell’ultima fase – abbia aiutato la sinistra e la società a crescere (mentre avevo apprezzato e condiviso le idee forti del ‘’compromesso storico’’ e della ‘’austerità’’ troppo presto abbandonate). Comunque sia, un Paese che dimentica  personalità come Enrico Berlinguer si merita Beppe Grillo e Matteo Salvini. Un po’ anche Matteo Renzi.

(CHI C’ERA ALLA PRIMA DI “QUANDO C’ERA BERLINGUER” DI VELTRONI. LE FOTO DI PIZZI)

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Tutti di corsa a Monaco ad arrendersi a Putin, come nel 1938 ad Hitler. Renato Brunetta è il solo delle opposizioni a dire che i trattati internazionali sull’Ucraina vanno rispettati; ma – aggiunge serafico  – non attraverso le sanzioni. Pensa forse, come il Cavour, di mandare un Corpo di spedizione in Crimea?

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Vengono definite interviste genuflesse. Succede quando il giornalista incaricato si prostra  (metaforicamente?) ai piedi della personalità intervistata, gli lascia dire tutto ciò che vuole senza porgli nessuna domanda che possa metterlo in difficoltà o anche solo in imbarazzo. E’ la nuova strada intrapresa dal Corriere della Sera, il più autorevole quotidiano italiano. Passi che un’intervista genuflessa abbia luogo con lo Zar Putin che in fondo è l’autocrate di un grande Paese; è grave che addirittura si calino le braghe al cospetto di Alexis Tsipras. In fondo il ragazzotto d’oltremare sembra il cugino di campagna di Matteo Renzi, sicuramente tanto più imbroglione e molto meno furbo del giovane caudillo.

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