Ai politici di carriera, antica o recente, l’ironia fa bene, soprattutto l’auto-ironia; non fa bene, invece, il sarcasmo. E’ un filo sottile. Berlusconi fu oggetto di ironie, anche pesanti quando fece le corna nella foto internazionale di gruppo, fu, invece, seppellito dal sarcasmo quando Merkel e Sarkozy, parlando di lui, sorrisero con pena. Mando questi pensierini, da scuola dell’obbligo della politica, a Michele Emiliano che con la nuova giunta, fra rifiuti pentastellati, voti nelle «sagre», forzature varie si è collocato fra l’ironia e il sarcasmo. Se Emiliano avesse auto-critica, stasera, tornando a casa, rileggerebbe la raccolta di vignette di Altan e si soffermerebbe soprattutto su quella che dice. «Vorrei sapere chi è il mandante delle cazzate che faccio».
Il neo-presidente ha avuto una messe di voti, ha una passionaccia per la politica e l’amministrazione. Insomma era in Paradiso o giù di lì. Ha voluto strafare. La prima causa è sicuramente l’ansia da comunicazione. Anche qui ci sorregge il noto filosofo Altan, quando dice: «C’è il boom della comunicazione, tutti a comunicare che stanno comunicando». Ma questa spiegazione non va alla radice del problema che è più serio e investe, lo dico sommessamente, la natura della democrazia. Emiliano ha voluto dimostrare due cose: la prima che non esistono regole, né fair play (per esempio quello di non strumentalizzare un altro partito politico, in questo caso i 5 Stelle), la seconda è che il bastone di comando è solo nelle sue mani. Vi ricordate il marchese del Grillo? «Io sono io e voi non siete un c…».
E’ stato un rischio calcolato. Se i 5 Stelle avessero accettato, Emiliano avrebbe dimostrato di riuscire a fare cose che Renzi non sa né vuol fare. Non essendoci riuscito ha fatto fare ai 5 Stelle la figura degli auto-emarginati. Qual è il limite di questa strategia di tipo «totalitario» (cantava Milva: «E qui comando io, questa è casa mia…»). Il limite sta per l’appunto in quella sottile linea di frontiera che passa dall’ironia su Emiliano al sarcasmo su Emiliano. I politici moderni, privi di partiti di massa, pensano di essere capaci da soli di intravvedere il passaggio dall’una all’altra situazione. La storia, da Berlusconi e Bossi in poi, dice il contrario. E quello che valeva per gli uomini politici di destra, vale oggi per quelli di sinistra (chiamiamoli così).
(la versione integrale del commento si può leggere sul Corriere del Mezzogiorno)