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Come ha reagito il sinistro partito delle tasse alla renzata di Renzi

Pier Luigi Bersani

Grande comunicatore quel Matteo Renzi. Con la trovata dei 50 miliardi di tagli alle tasse in cinque anni ha fornito un argomento ai media con cui passare l’estate e far discutere gli italiani sotto l’ombrellone e nelle baite montane. Ma soprattutto ha spiazzato i suoi avversari esterni ed interni (gli unici, questi ultimi, a dargli qualche grattacapo), svelandone, agli occhi dell’opinione pubblica, la loro vera natura. Le forze del centro destra – che dovrebbero preoccuparsi dell’equilibrio dei conti pubblici ed incalzare il giovane Caudillo sull’aspetto critico delle coperture finanziarie tuttora evanescenti – si affannano a rivendicare la loro primogenitura di stampo populista. La sinistra dem, invece, si sente lesa nei principi quando il segretario annuncia che il Pd deve liberarsi della nomea di ‘’partito delle tasse’’, che a loro, invece, piace tanto. Non hanno mai dimenticato, infatti, che un ministro dell’Economia dell’ultimo governo Prodi sostenne che ‘’le tasse sono bellissime’’.

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Matteo Renzi insiste nel considerare l’operazione 80 euro in busta paga come un taglio delle tasse e, in particolare, del costo del lavoro. Peccato che secondo la UE (e l’Istat) si tratta di un trasferimento alle famiglie e quindi di un aumento di spesa.

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Carlo Cottarelli ha raccontato in un agile libretto (‘’La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica in Italia e su come si può tagliare’’, Feltrinelli, 15 euro) la sua esperienza di commissario alla spending review, formulando, nel contempo, alcune proposte (più o meno le stesse avanzate in veste ufficiale e finite in un cassetto) di possibili tagli, razionalizzazioni, maggiore efficienza della spesa pubblica in Italia, che nel 2013 (ultimi dati definitivi) ammontava a 818 miliardi (circa 13.700 euro per ogni persona residente in Italia). Di questi, 78 miliardi sono interessi sul debito. Così la spesa ‘’primaria’’ si riduce a 739 miliardi. Chi li spende? Gli enti previdenziali quasi la metà (320 miliardi, il 43%); le amministrazioni centrali dello Stato 190 miliardi. Vengono poi le Regioni con 138 miliardi, la maggior parte dei quali (109 miliardi) è costituita dalla spesa sanitaria. Quindi le voci del welfare (previdenza e sanità) rappresentano insieme quasi il 60% della spesa totale. I Comuni se la cavano con 61 miliardi (l’8% del totale), mentre le Province, in rapido e veloce disarmo, percepiscono 9 miliardi (l’1%). I restanti 21 miliardi sono spesi da enti classificati come ‘’locali’’ (soprattutto le Università).

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