La CEI ha perfettamente ragione. La sentenza della Cassazione è un attacco alla libertà e alla verità.
Il principale argomento per imporre l’Ici (che le scuole pubbliche non pagano) alle private è che queste, contemplando una retta da pagare, prefigurano la loro attività come commerciale. E’ un assurdo.
La nostra Costituzione prevede la parità tra scuola pubblica e privata e senza oneri per lo Stato. È quello che succede (ma che ora la sentenza sconvolge). Infatti la retta non ha valore commerciale: le scuole private sono no profit. E serve a parificare (senza riuscirci nemmeno) i trasferimenti pubblici che la scuola pubblica riceve sotto forma di oneri per lo Stato e i Comuni (affitti, stipendi del personale, costi di struttura, ecc).
Uno studente di scuola privata costa allo Stato 500 euro all’anno (sotto forma di esenzioni fiscali e altre prerogative previste per tutte le scuole). Non è un onere ma un risparmio. Il costo annuo per lo Stato di uno studente di scuola pubblica è di 6.800 euro all’anno. Lo Stato risparmia per ogni studente delle paritarie (che non sono solo cattoliche) 6.300 euro anno. Moltiplicate per il milione di studenti che frequentano le paritarie e avete il risultato di un ingente risparmio per lo Stato.
La retta integra (ma solo in minima parte) la differenza tra 500 euro e 6800. Con la retta i privati recuperano solo la metà scarsa della differenza. Altro che valore “commerciale”!
La parità scolastica è un obbligo costituzionale e un criterio di libertà e concorrenza educativa. Che il governo Renzi ha confermato e difeso nella recente riforma della scuola. Al solito in Italia una sentenza interviene non per applicare la legge (compito delle sentenze di una Magistratura rispettosa della Costituzione) ma per “fare le leggi” (compito che è del Parlamento e non della Magistratura).
La picconata alle scuole private è un altro piccolo colpo della Magistratura italiana alla distinzione dei poteri in Italia.