Le grandi famiglie politiche europee sono profondamente in crisi.
Non si può dire che questa constatazione sia qualcosa di diverso da un’ovvietà. Non soltanto in un Paese anomalo come l’Italia, ma un po’ ovunque anche tra le grandi nazioni, la distinzione classica, novecentesca, tra socialisti e popolari sembra scricchiolare o essere appannata. Certo non per questo è facile seppellirla completamente.
L’agenzia Reuters ha diffuso un sondaggio secondo il quale se in Spagna si votasse oggi, il Partito Popolare vincerebbe le elezioni col 28,2%, in aumento di oltre due punti e mezzo su una precedente rilevazione. Un segnale cioè che i grandi accorpamenti ideologici sono sì in crisi ma non sono spariti del tutto.
Se si guarda alla situazione di casa nostra è facile rendersi conto che ancora permane la grande anomalia post Mani pulite, vale a dire la situazione di instabilità creatasi dopo l’eliminazione giudiziaria della Democrazia Cristiana, certamente tra i partiti europei che più hanno contribuito alla definizione del gruppo popolare.
Dopo di allora, in questi venti anni, vi è stata una corsa verso l’apparentamento e l’accredito internazionale con il grande centro anche da parte di movimenti politici come Forza Italia solo parzialmente corrispondenti allo stile e al modo di pensare la politica del Ppe.
Ebbene, attualmente assistiamo, sempre in Italia, ad una crescita del voto e del non voto di protesta, con un raggio di azione che spazia dal Movimento Cinque Stelle alla Lega, fino all’astensione di buona parte dell’elettorato tradizionalmente moderato.
Anche in questo caso specifico è facile rilevare uno sbilanciamento. Il Pd, infatti, grazie a Matteo Renzi ha superato la divisione tra cattolici e laici ed è divenuto parte integrante del gruppo socialista, ben ancorato anche alla linea atlantica democratica. Mentre il centrodestra, che dovrebbe aderire unitariamente al Ppe, risulta frazionato, in crisi di leadership, eroso ai lati da una destra forte e dura come quella di Matteo Salvini e dalla forma dissacrante e anti sistema della protesta grillina; e soprattutto incapace di trovare una linea di aggancio ai Repubblicani statunitensi.
La domanda vera è la seguente: in Italia veramente non c’è più spazio per una solida proposta politica di tipo popolare, oppure è possibile immaginare, e quindi lavorare, a una ridefinizione di questa identità politica senza cadere nella piccola difesa di una percentuale da riserva indiana?
La mia risposta è certamente positiva. È lo è non soltanto in nome di una pragmatica accettazione del principio empirico secondo cui alla fine si opta per uniformarsi a quello che fanno i Paesi più grandi, ma in nome di una visione culturale, e direi perfino filosofica, della politica che muove, ispira e guida nel proprio comportamento quotidiano la gran parte dei cittadini italiani verso il centro.
Naturalmente si devono individuare alcuni presupposti ideali che possano fare da sostrato vero a questo contenitore.
Io prenderei a prestito due padri nobili, forse oggi dimenticati e ignorati, i quali, tuttavia, sono stati a livello occidentale degli indiscussi ideatori nobili del popolarismo.
Il primo è Romolo Murri. Il secondo è Luigi Sturzo.
Murri, circa un secolo fa, affermava che il valore costitutivo del popolarismo consiste nell’idea di democrazia. Ed essa è basata sul ”primato dell’individuo rispetto alla società”. La persona è soggetto e fine della democrazia perché i fini spirituali e materiali della sua individualità sovrastano e costituiscono quelli economici e politici della collettività.
Questa premessa liberale costituisce sicuramente un fondamentale del popolarismo rispetto sia alla visione socialista e sia a quella radicalmente conservatrice, entrambe costituite attorno ad un’idea di democrazia globale o locale di tipo sostanziale.
Sturzo, vero grande padre del popolarismo, aggiungeva a questa premessa individuale della domocrazia murriana, per altro fatta propria da quasi tutti i grandi politici cattolici, ad esempio anche da personaggi di sensibilità molto più sociale come Giorgio La Pira e Aldo Moro, un secondo rilievo etico relativo alla definizione del potere.
Un’autentica democrazia deve contemplare un’idea del limite soggettivo molto netta e precisa. Non basta a rendere legittimo un potere il fatto che sia sostenuto e costituito dal consenso. È necessario che ogni potere sia limitato da altri poteri, e che nessun potere sovrasti tutti gli altri.
Secondo Sturzo ciò vale sia nei rapporti Stato-Chiesa, sia in quelli tra pubblico e privato, e ancor di più tra sovranità nazionali e internazionali. Perciò egli si oppose fermamente sia al socialismo statalista e sia al fascismo autoritario, perché in entrambi i casi era latente o espressa una concezione illimitata, e quindi non democratica e non popolare, del potere.
Ebbene il risultato è interessante, sebbene la politica non si faccia soltanto con idee filosofiche naturalmente. Un’area popolare ha un suo spazio in Italia. E la sua cultura democratica, che ha una gloriosa e documentata origine nazionale, deve issare la sua bandiera su queste due premesse: democrazia individuale e liberale; limite etico nell’esercizio del potere.
Su questi due preamboli, in definitiva, è sicuramente possibile costruire un programma semplice e concreto che non sia né socialista, né conservatore, ma in grado di completare quelle riforme democratiche che oggi servono per tornare a crescere e a contare all’interno di un’area politica internazionale rigorosamente e consapevolmente atlantica, europea e popolare.