Skip to main content

Lode alla renziana Unità per il dibattito su Berlinguer

Il dibattito aperto dalla nuova edizione dell’Unità, trasparentemente renziana, sull’eredità politica di Enrico Berlinguer ha raggiunto l’effetto forse propostosi, ma comprensibilmente non confessato né confessabile dal suo direttore, di smitizzare uno dei più storici, e meno lontani, segretari dei comunisti italiani. Meno lontano nel tempo, per cui sono ancora molti quelli che possono ancora ricordarlo fisicamente, e riprovare l’emozione avvertita anche dagli avversari per le drammatiche circostanze della sua fine prematura: quasi sul palco del suo ultimo comizio elettorale, 31 anni fa, a Padova.

Sfilò commosso davanti alla sua bara, nell’atrio della sede nazionale del partito, anche il segretario missino Giorgio Almirante, ricevuto sulla soglia e scortato dai dirigenti delle Botteghe Oscure, timorosi di reazioni scomposte dei militanti. Ma non ve ne furono.

Il popolo comunista d’altronde non odiava Almirante per il semplice fatto che non ne temeva la consistenza politica. Odiava piuttosto Bettino Craxi, di cui temeva propositi e ruolo, allora di capo di un governo di coalizione con la Dc. I cui dirigenti avevano deciso, chi più volentieri, come Arnaldo Forlani, vice presidente del Consiglio e presidente del partito, e chi meno, come il segretario addirittura dello scudo crociato, Ciriaco De Mita, di aiutarlo a tentare il riequilibrio a sinistra dei rapporti di forza, politica ed elettorale, fra socialisti e comunisti.

Quei rapporti, favorevoli ai socialisti nelle elezioni del 1946 per l’Assemblea Costituente, erano stati rovesciati nelle elezioni politiche del 1948 per la slealtà dei comunisti, che dopo avere realizzato con il Psi di Pietro Nenni il famoso “fronte popolare” furono disciplinati solo con i loro candidati, sommergendoli di preferenze, e negandone ai socialisti. Un’operazione poi ammessa nel Pci da Giancarlo Pajetta, che tentò anche di scusarsene attribuendone la colpa agli inconvenienti della militanza.

++++

L’odio per Craxi era tale nel Pci che non gli fu permesso a Padova di rendere omaggio al rivale, rimproverandogli che solo poche settimane prima lo avesse lasciato fischiare al congresso socialista a Verona dicendo ai compagni di partito, nel discorso di replica, di non aver potuto associarsi alla contestazione solo perché non sapeva fischiare.

D’altronde, nel pieno dello scontro politico e parlamentare sui tagli alla scala mobile dei salari, apportati da Craxi in funzione antinflazionistica e destinati a produrre rapidamente i risultati desiderati, superando anche un referendum abrogativo imprudentemente promosso dalla Cgil su ordine del Pci, Berlinguer si era spinto a definire il leader socialista “un pericolo per la democrazia”, Ed aveva esortato De Mita a fare cadere il governo, adombrando la possibilità di garantire una diversa opposizione al successivo, purché diretto da un altro.

Non si era quindi risparmiato neppure il segretario comunista nell’assalto al nemico, così come non si risparmia oggi con Matteo Renzi la minoranza del Pd, dove convergono non a caso i resti più oltranzisti del Pci e della sinistra democristiana.

++++

Consapevole di una storia così accidiosa, conclusasi nel peggiore dei modi per l’uno e per l’altro, Berlinguer morendo sul campo e Craxi costretto a riparare in Tunisia dopo soli dieci anni dagli eredi di Berlinguer, aiutati  dai magistrati di Mani pulite, il direttore dell’Unità ha avuto l’onestà e il coraggio di far partecipare al dibattito sugli aspetti conservatori o rivoluzionari, antichi o moderni dell’azione berlingueriana, anche esponenti socialisti particolarmente ostici per la vecchia militanza comunista. I quali non hanno fatto proprio nulla per riuscire graditi al pubblico che ancora rimpiange e adora Berlinguer: dalla figlia di Craxi, Stefania, che non perdona giustamente a Renzi di preferire “il socialismo dell’opportunità di Berlinguer al socialismo dell’opportunismo” del padre, all’ex delfino di Bettino: Claudio Martelli.

Proprio ai comunisti peraltro Martelli deve la rottura mai rimarginata davvero con Craxi, avvenuta nel 1992, quando, in pieno attacco giudiziario, mediatico e politico contro il leader socialista per la vicenda di Tangentopoli, egli si fidò dei segnali mandatigli dalle Botteghe Oscure per una corretta opposizione, o persino astensione dell’ex Pci, ad un governo presieduto da lui piuttosto che da Craxi, designato per un ritorno a Palazzo Chigi dalla Dc guidata da Forlani. Tanto se ne fidò, l’incauto Martelli, da rendersi a sua volta disponibile in un colloquio con l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, presente il ministro democristiano dell’Interno Vincenzo Scotti, disposto a fargli da vice, o viceversa. Un colloquio che, venuto a conoscenza di Craxi, gli procurò la sensazione di un imperdonabile tradimento. Per cui a Palazzo Chigi finì Giuliano Amato, mentre i comunisti opponevano ai socialisti, a tutti i socialisti, una preclusione “morale”, sull’onda di una più generale “questione” omonima sollevata da Berlinguer in una intervista del 1981 a Eugenio Scalfari. Che amò politicamente Berlinguer proprio in funzione anticraxiana.

++++

A tanti anni di distanza da quei fatti, rovinosi per tutta la sinistra, e a cavallo tra una non riuscita seconda Repubblica e una improbabile terza, Martelli ha avuto sin troppo facile gioco a ripetere ai post-comunisti dalle colonne dell’Unità, dopo una impietosa contestazione politica e culturale di Berlinguer: “Non avete voluto diventare socialisti e ora siete condannati a diventare democristiani”. Per fortuna del Paese, aggiungo io, con Renzi segretario anziché con Rosy Bindi, o con Dario Franceschini. Che nel 2009, succedendo a Walter Veltroni alla guida del Pd, per farsi perdonare la provenienza democristiana si tinse politicamente di un rosso che più rosso non poteva essere.


×

Iscriviti alla newsletter