La strage di Parigi ha condotto a un rafforzamento delle misure nazionali francesi in materia di sicurezza interna, ma avrà anche conseguenze europee. Il ministro degli interni Bernard Cazeneuve ha chiesto il 15 novembre al collega lussemburghese, Etienne Schneider, che si era recato a Parigi e che detiene la presidenza di turno dell’Unione, la convocazione per venerdì 20 novembre di un Consiglio straordinario Giustizia e Affari Interni (GAI – JHA). Il comunicato stampa del governo francese ha elencato cinque punti in agenda: l’instaurazione di un PNR (Passenger Name Record) europeo, un quadro tecnico-politico per contrastare il finanziamento al terrorismo, una legislazione europea sul controllo delle armi, l’ulteriore rafforzamento del sistema di scambio di informazioni e l’installazione di controlli sistematici e coordinati alle frontiere esterne dell’Unione europea.
IL PNR EUROPEO
Per ognuno dei cinque capitoli esiste già una storia pregressa e non sempre felice. Il più importante è il PNR – cioè il dato raccolto sui passeggeri presso le compagnie aeree – introdotto in modo sistematico dagli Stati Uniti dopo l’11 Settembre. Una proposta di direttiva del 2011 è stata rigetta nell’aprile del 2013 dal Parlamento europeo, con grande attivismo della Commissione LIBE in materia di libertà individuali già nel caso dell’interscambio di informazioni con gli Usa. Esistono attualmente sistemi PNR nazionali in Danimarca, Regno Unito, Svezia e in Francia, ma la libera circolazione terrestre costringe a misure comuni di sorveglianza. Cazeneuve e altri ministri insistono da tempo sul PNR europeo, in particolare sulla base dei numeri crescenti di foreign fighter registrati nel 2015: la riunione della Commissione LIBE del Parlamento europeo di lunedì 16 novembre è dunque posta questa volta sotto la forte pressione della strage di Parigi, a partire dalla difficile trincea dei diritti individuali violati.
IL CONTRASTO AL FINANZIAMENTO
Il contrasto al finanziamento del terrorismo risale a dopo gli attentati di Madrid del 2004, ma funziona ancora poco e richiede un maggiore coordinamento operativo (anche sulle ONG) che coinvolge il sistema bancario e la codificazione degli scambi, anche sulla base della recente quarta direttiva antiriciclaggio del 20 maggio 2015.
CONTROLLO DELLE ARMI
La proliferazione delle armi leggere in Europa (Small Arms and Light Weapons – SALW) e il loro controllo sono anch’essi oggetto di analisi puntuali, sia per gli stock dispersi dalla crisi dei Balcani e dall’Albania negli anni Novanta sia per il flusso di rientro delle armi vendute all’estero: il 29 gennaio 2015, Brian Donald, capo di Europol, riferiva al Time che era possibile acquistare clandestinamente in una città europea un AK-47 per mille euro in sole due ore. Oltre alle convenzioni Onu e le iniziative Nato, si tratta di rafforzare la legislazione europea sulle armi leggere, con maggiore collaborazione investigativa e operativa tra gli Stati membri con interventi di identificazione e riduzione degli stock, per esempio di kalashnikov, in parte sotto la guida di Europol. Su questo punto il Consiglio Giustizia e Affari interni si era già espresso con dovizia di dettagli operativi l’8 ottobre scorso, sulla scia di progressi (evidentemente troppo lenti) sin dalla strage di Charlie Hebdo.
I PUNTI SU SCHENGEN
Gli ultimi due punti in agenda al Consiglio straordinario di venerdì riguardano direttamente il Trattato di Schengen. La tendenza non sarà verso una “riduzione” dell’accordo ma anzi verso un suo rafforzamento, da un lato con il potenziamento del database – forse con nuove classi d’informazioni (per esempio simili alle schede “S” francesi) – una probabile integrazione con le notizie provenienti dal Servizio europeo per l’azione esterna, e infine con un’ulteriore crescita di Europol, che ora dispone di oltre 900 agenti all’Aia, uffici di collegamento nazionali e altri dispositivi, per esempio in materia cibernetica. Inoltre l’aggiornamento del Trattato di Schengen dovrebbe riguardare anche i controlli alle frontiere, sia con modifiche al “Codice frontiere”, sia con un impegno più diretto e in prospettiva “territoriale” di Frontex. Non a caso, il liberale Guy Verhofstadt twittava in questi giorni sulla necessità di un Corpo di guardie di frontiera europee, ancora una volta guardando al modello statunitense.