Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Le vittime di Parigi, per non parlare delle stragi jihadiste e qaediste di Madrid (2004) e Londra (2005), sono la tragica testimonianza che le certezze strategiche del vecchio mondo bilaterale sono davvero finite. Ovvero, che ogni Stato o ogni gruppo terroristico, per quanto piccolo o “arretrato” tecnologicamente, può colpire duramente una grande nazione, indipendentemente dalla dimensione e dalla qualità del suo apparato difensivo e di intelligence.
L’asimmetria del conflitto premia i piccoli Stati e gruppi del terrore, non quegli Stati che hanno vinto la Guerra fredda e che pure hanno lasciato il vuoto nell’asse strategico fondamentale tra penisola eurasiatica e Asia Centrale; permettendo che in esso si sviluppasse prima lo scontro sciiti-sunniti e poi la jihad della spada, strumento asimmetrico dei sunniti contro i seguaci iraniani di Alì e i loro alleati, Russia e Cina in primo luogo.
L’egemonia globale sull’immenso mondo islamico è la vera posta in palio tra i due antichi tronconi della Profezia coranica. Nel caso francese, poi, i Servizi sono stati riformati proprio in vista di una minaccia terroristica diffusa, il che ci induce a ritenere che sia proprio la riforma stessa dell’intelligence di Parigi ad essere non una parte della soluzione, ma del problema.
All’inizio della elaborazione francese del contrasto al terrorismo, soprattutto di matrice jihadista, vi è la legge del 22 luglio 1996, dove si delinea la fattispecie del reato di “associazione di malfattori in relazione ad una impresa terroristica”, una normativa che permette di perseguire i “malfattori” anche nella fase preparatoria dell’azione terroristica.
Ed è bene qui ripetere che la jihad della spada non è semplice “terrorismo”. Il terrore è un effetto e una scelta operativa della jihad, ma non certo l’unica.
Quando saranno ancora più forti, i jihadisti creeranno i loro quartieri nelle periferie europee, li controlleranno, renderanno unica la loro legge, oppure agiranno come un esercito vero e proprio, esattamente come accade nel califfato di Raqqa rispetto al terrorismo globale di Al Qaeda.
Dipende da noi e dal nostro livello di risposta, in Francia come in Italia e altrove. Il terrorismo è una strategia del vuoto che si adatta, come l’acqua, al recipiente che la accoglie, che è la nostra risposta alla jihad. “Costringi la tigre a lasciare la sua tana di montagna”, come recita uno degli immortali 36 Stratagemmi dell’arte della guerra cinese.
Ma torniamo alla Francia: la legge sulla “localizzazione delle reti terroristiche”, e siamo ancora al 2006, prevede di far attingere gli investigatori, anche senza l’immediato permesso dei magistrati, ai dati telefonici e della rete Internet relativi ai terroristi; mentre nel 2008 si è arrivati alla fusione tra la Dst, Direction de la Surveillance du Territoire e della Direzione Centrale delle Informazioni Generali. Nessuna delle due strutture, nella prassi e nelle normative francesi, è un vero e proprio Servizio segreto, né la Dst né l’altra direzione sono, per chiarirci, un equivalente del nostro Aisi.
E, comunque, qui ci troviamo di fronte ad un vero e proprio paradosso: ci si occupa dei dati “vecchi”, che possono essere utilizzati rapidamente ed efficacemente dalle forze di polizia, ma ci si dimentica dei dati “nuovi”, quelli del reclutamento, della predicazione terroristica, della organizzazione coperta politico-religiosa che, purtroppo, anche in questa nuova configurazione legale rimangono tutelati dal permesso dei magistrati, che spesso non hanno tutti i dati a disposizione, nemmeno in Italia, peraltro.
Le mort saisit la vif, per dirla con una frase cara a Karl Marx.
Sul piano delle normative relative alla struttura vera e propria dei Servizi francesi, la riforma essenziale è quella del 2009, D.n. 1657 del 24 dicembre 2009, che definisce la costituzione di un Consiglio di Difesa e di Sicurezza Nazionale che è anche l’organo di pianificazione strategica.
È certamente necessario, nel contesto della lotta alla jihad e della pressante guerra economica di tutti contro tutti che caratterizzano i nostri giorni, unificare e verticalizzare l’analisi e la risposta alle varie minacce.
Ma la jihad è una guerra artigianale, che si fa con pochi e spesso poveri mezzi (soprattutto nella sua fase qaedista) e spesso, quando arriva al livello del Consiglio di Difesa, è troppo tardi.
La nuova normativa di Parigi definisce anche la costituzione di un Segretariato Generale della Difesa e della Sicurezza Nazionale che è una sorta di Dis, Dipartimento Informazioni per la Sicurezza italiano.
Certamente è primaria la necessità di collegare i Servizi tra di loro e di connetterli alle strutture di Polizia, per scambiare i dati e costruire i profili dei jihadisti e delle loro organizzazioni, ma sarebbe necessario anche un sistema di allarme preterroristico che riguardi le reti internet, dove molto può anche essere nascosto e non apparire come reato, e nelle moschee, dove il controllo, che pure è approfondito, almeno in Italia, può essere bypassato da qualche militante più attento del solito.
Il problema è che, detto brutalmente, le popolazioni islamiste sono già troppe: la possibilità per un jihadista di diventare un militante, essere coperto, addestrato, muoversi, viaggiare, fare propaganda sono tanto maggiori quanto è grande, spesso grandissimo, il numero dei suoi confratelli coranici che, volenti o nolenti, lo copre e lo protegge.
Controllare una massa di dati quanto quella che dovremmo controllare se monitorassimo tutte le comunità islamiche, cosa che infatti dovremmo appunto fare, è ormai impossibile.
La campionatura è inevitabile, ma il terrorista già segnalato alle autorità, in Francia come in Italia, sa come fare, si tiene al coperto, cambia ambiente, opera con altre organizzazioni.
Qui si tratta di bloccare il reclutamento e l’addestramento, non di seguire (il che va comunque fatto) la vecchia conoscenza jihadista delle Forze dell’ordine.
Altro problema, comune a Francia e Italia, è la scarsità di fondi per l’intelligence.
Colpa della cultura politica di chi è andato al potere in questi ultimi anni, certamente, colpa di una classe politica che vede affari dappertutto, ma che non sa che gli affari necessitano sempre di informazioni riservate, colpa infine di un facile gioco al massacro, anche questo presente in Italia come in Francia: qualcosa è andato storto? È colpa dei Servizi.
L’idea buona, nella normativa francese, è comunque quella di unificare i due Servizi interni (decisamente troppi) ma di collegarsi in modo unitario con la magistratura, magari con una struttura unica di comando dedicata unicamente alla lotta alla jihad.
Secondo gli ultimi dati, la Dcri, la già studiata Direzione Generale della Informazione Interna, ha a disposizione circa 3300 elementi, di cui 2500 operativi. Troppo pochi. Sono meno dei jihadisti operanti in Francia.
Ma qui il vero problema è la sovrapposizione e l’interferenza tra Dcri e Dgse, il Servizio estero. Malgrado la struttura centrale di governo, che non tratta le questioni giornaliere, malgrado l’unificazione dei due Servizi interni, in Francia il Servizio estero non ha un collegamento strutturale con le azioni di repressione/informazione della Dcri sul territorio francese. Una falla strutturale gravissima, che è probabilmente all’origine del recentissimo fallimento dell’intelligence francese.
Il Servizio estero ha ricevuto sicuramente la documentazione sugli attentati dal Servizio iracheno, esattamente ventiquattro ore prima della tragedia del Bataclan e dello Stadio di Francia, ma non l’ha coordinata con i Servizi interni che sono, come spesso accade, molto bene informati sulle reti jihadiste locali.
Certo, molti dei terroristi provenivano dal Belgio, ma una rete di controllo sulle macchine prese a noleggio, per esempio, o sugli spostamenti recenti di militanti jihadisti ben noti alle autorità, sarebbe davvero il minimo indispensabile per giocare all’intelligence, dopo gli assassinii alla redazione di Charlie Hebdo e la scomposta e sostanzialmente filoislamista reazione della popolazione francese.
Je suis Charlie è una sciocchezza: non nomina le vittime, non indica i colpevoli, è solo, e temiamo che la cosa accadrà ancora, l’applicazione di una tecnica di marketing alla politica. Temiamo che accadrà ancora. Je suis Bataclan: una grande manifestazione, la runa celtica che è simbolo del pacifismo in ogni dove, come se invece non si dovesse andare alla guerra contro il jihad, ma semplicemente arrendersi, tanta “politica spettacolo” e poi niente.
Non è peraltro un caso che, dietro all’apparato della laicità di Stato francese attuale, si manifesti un meccanismo che protegge soprattutto l’Islam, anche quello più radicale, con le norme sulla “islamofobia”, termine assolutamente privo di significato.
D’altra parte, con gli Emirati Arabi Uniti l’interscambio della Francia è, al 2014, di 5,17 miliardi di euro, con il 40% delle importazioni dalla Francia nel Golfo. Il Qatar, che investe in Francia a man bassa, ha una dotazione di Fondi sovrani da 100 miliardi di dollari, e vuole assolutamente diversificare la propria economia, che ancora oggi, tra le tre più ricche del pianeta, dipende dagli idrocarburi per l’ottanta per cento delle sue entrate.
Pensate forse che gli Emirati, il Kuwait, l’Arabia Saudita o altri Paesi dell’area non operino pressioni politiche, anche sul piano culturale, contro Israele o contro i propri nemici interni all’area sunnita o, ancora, contro l’Iran?
Mentre la polemica contro Israele e lo stesso Ebraismo è diventata moneta corrente, in Francia e, tra poco, anche in Italia.
Sul piano psicopolitico, si lancia questo evidente messaggio: noi europei che cantiamo Imagine di John Lennon vogliamo essere sottomessi e purtroppo la presenza delle comunità ebraiche ci rende obiettivi del jihad.
È quello che vogliono: se la minoranza islamista sarà radicata in Europa, che avrà accettato per il classico piatto di lenticchie biblico l’espulsione degli ebrei, allora si realizzerà la profezia del vecchio capo della Fratellanza Musulmana Mohammed Badie: “non abbiamo bisogno di fare la jihad in Europa, essa diverrà islamica per motivi demografici”.
Non avessimo quindi gli ebrei tra noi, suggerisce la propaganda parajihadista, il rapporto con l’Islam sarebbe pacifico, e i coranisti verrebbero a finanziare riccamente le nostre economie ormai mature.
Errori tragici, ma sottilmente presenti in tutta la nostra, europea, comunicazione politica e simbolica.
Quindi, tornando alla organizzazione e alla struttura dei Servizi francesi, la non collaborazione strutturale tra Dgse, che pure è stata indebolita dalle varie “riforme” del Servizio interno, e la Dcri è, con ogni probabilità, all’origine della falla informativa che ha portato alla strage del 13 Novembre 2015. Il giorno della nascita di Sant’Agostino.