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Isis piomba sull’America

Mercoledì mattina a San Bernardino, in California, quattordici persone sono state uccise e diciassette sono rimaste ferite in una sparatoria condotta da una coppia di coniugi, che si pensa possano aver avuto un movente politico, forse legato alle idee propagandate dallo Stato Islamico: lui, Syed Rizwan Farook, ventottenne americano nato da genitori di origine pakistana, musulmano; lei, Tashfeen Malik, ventisettenne (“Fede nell’Isis”, aveva scritto sul web).

LE TENSIONI SOCIALI

L’episodio ha alzato ancora di più il livello di tensione tra gli islamici residenti negli Usa e il resto della popolazione. Parlando al Los Angeles Times, Mahmoud Tarifi, leader del centro islamico di Claremont, ha spiegato che i musulmani temono di essere a loro volta “vittime” di queste violenze. “Ci sentiamo come dopo l’11 Settembre e gli attacchi nella capitale francese”. Un sentimento manifestato anche da Ibrahim Hooper, direttore delle comunicazioni nazionali per il Council on American Islamic Relations, che alla Cnn ha detto di stare operando “in un clima di isteria e di paura, mai visto così, nemmeno dopo l’attacco alle Torri Gemelle”.

JIHADISTI MADE IN USA

Considerati un modello d’integrazione e assimilazione tra fedi e nazionalità diverse, gli Stati Uniti scoprono oggi di avere, al pari del Vecchio continente, un problema con le nuove generazioni che decidono di abbracciare un’idea violenta di Islam da applicare in casa propria, al di là dei fatti San Bernardino. Anche per questa ragione si sa molto della radicalizzazione dei giovani europei, un po’ meno di quella dei ragazzi americani. Chi sono e come si avvicinano alla jihad? A tracciare un identikit dei militanti musulmani made in Usa ci ha provato l’università George Washington con un recente studio realizzato nell’ambito del Programma sull’Estremismo, diretto dall’italiano Lorenzo Vidino.
Da marzo 2014, si legge, “71 individui sono stati accusati negli Usa per attività legate ai drappi neri in 21 Stati”. ​In totale, “ci sono al momento 900 investigazioni aperte su simpatizzanti dell’Isis”. Mentre gli arrestati “hanno dai 15 a circa 50 anni”.
Secondo il report, dunque, i jihadisti americani “hanno un’età media di 26 anni e sono all’86% di sesso maschile. La maggior parte di loro utilizza Twitter e altri social media per trovare e diffondere propaganda”. Ma a parte questo, rileva l’analisi, ci sono pochi altri tratti in comune tra chi, oltreoceano, sostiene lo Stato Islamico. E ciò rende terribilmente difficile identificarli in anticipo su basi puramente sociologiche.

LE RAGIONI DELLA RADICALIZZAZIONE

Cosa li spinge, allora, a radicalizzarsi? “Alcune reclute – spiega lo studio – sembrano aderire al gruppo per cause politiche, differenze culturali, o sentimenti di privazione dei diritti civili dati dalla cultura americana”. In altri casi, invece “gli individui hanno cominciato a sostenere lo Stato Islamico a seguito di eventi traumatici che hanno cambiato loro la vita”. Fino all’autunno del 2015, aggiunge il report citando stime governative, erano “250 gli americani che hanno viaggiato o tentato di recarsi in Siria o Iraq per unirsi all’Isis”. Molti di loro “sono anche stati direttamente coinvolti in complotti per compiere attacchi sul suolo americano, ma “pochi hanno raggiunto una posizione di leadership di livello medio”.

LE CRITICHE POLITICHE

Il tema del rapporto con l’Islam non è tuttavia confinato solo a media, accademia e think tank, ma è entrato prepotentemente anche nel dibattito delle prossime elezioni presidenziali. A cavalcarlo, riporta Reuters, sono soprattutto i candidati repubblicani. Ieri, racconta l’agenzia stampa, molti dei contendenti alla nomination del Gop hanno definito la strage californiana come “un segno che” la sicurezza degli americani è messa a repentaglio “da militanti islamici” cresciuti negli Stati Uniti, proprio come è accaduto a Parigi. “Non c’è nessun dubbio”, ha detto il repubblicano John Kasich, governatore dell’Ohio, “che questo è un tentativo di distruggere il nostro modo di vivere”. Mentre il senatore texano del Gop, Ted Cruz, ha colto la palla al balzo per criticare l’amministrazione democratica, dicendo che Obama non ha adottato misure per proteggere gli Stati Uniti. “È giunto il momento”, ha auspicato Cruz, “per un presidente di guerra”.



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