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Facciamo la guerra ad Al-Qaeda o a Isis?

Isis

L’espressione “il dilemma del terrorista” è stata usata da uno dei più noti politologi americani attuali, Jacob Shapiro, per indicare un fenomeno ricorrente in tutti i movimenti terroristici: la loro tendenza alla frammentazione e alle rivalità interne. Essa non deriva da motivi ideologici o, nel caso dei terrorismi di matrice religiosa, da contrapposte interpretazioni teologiche dei testi sacri. È invece un fenomeno strutturale, simile alla competizione per il potere. Per sopravvivere i gruppi terroristi non possono essere organizzati in modo gerarchico e centralizzato. Devono dividersi. Le loro componenti possono così meglio mascherarsi nelle società, ottenere il consenso dei loro sostenitori e adattarsi alle situazioni contingenti. Devono quindi godere di un’ampia autonomia. È inevitabile che i loro capi tendano ad aumentarla.

Se la loro indipendenza supera un certo limite, i gruppi terroristici si frammentano. Le periferie si contrappongono al centro. Non gli obbediscono più. Tendono ad affermare la propria specificità. Ciascun gruppo fa da sé. Tende a rendersi completamente indipendente. Compete con gli altri per acquisire maggior potere e prestigio. È quanto avvento per al-Qaeda, dopo gli attentati dell’11 settembre. È quanto avvenuto anche con l’Isis o Daesh, erede dell’AQI (al-Qaeda in Iraq), l’organizzazione che con il giordano al-Zarqawi combatté gli Usa in Iraq, per trasformarsi in Stato Islamico dell’Iraq e poi nella Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Nato come costola dell’al-qaedista Jabhat al-Nusra in Siria, si distaccò da tale gruppo, dichiarato da al-Qaeda propria branca ufficiale.

La divisione dei gruppi pan-jihadisti può avere conseguenze opposte. Da un lato, può accrescerne la pericolosità terroristica. Determina una competizione fra loro, che può moltiplicare gli attentati. Da un altro lato, può indebolirli. Impedisce di fare massa e di seguire strategie unitarie e coordinate. Può però anche determinare tensioni e conflitti fra le sue varie parti, indebolendole. È quanto avvenuto in Siria. Gli scontri fra il Fronte al-Nusra e l’Isis hanno provocato più di 3mila morti, indebolendo l’insurrezione contro Bashar al-Assad. I miliziani dell’Isis a Derna, dove erano tornati dalla Siria qualche centinaia di foreign fighter libici della brigata Battar, sono state attaccati e cacciati dalla città, roccaforte del pan-jihadismo libico, da Ansar al-Sharia e dalla Brigata dei Martiri di Abu Salim, entrambe affiliate a al-Qaeda.

Non si può prevedere “a priori” quale delle due conseguenze sia più probabile. Dipende dalle circostanze, in particolare dai rapporti di competizioni esistenti fra i gruppi dirigenti delle due formazioni. Essi rispecchiano le variabili relazioni di amicizia o di ostilità, tribali e claniche, esistenti fra le formazioni contrapposte. Il pan-jihadismo non è unitario. Le sue divisioni rispecchiano la ri-tribalizzazione delle società, conseguente all’indebolimento degli Stati, istituzioni estranee al mondo islamico.

Certamente sarebbe allettante sfruttare la rivalità fra i gruppi terroristi, per indebolirli. Il “divide et impera”, tanto praticato dalle potenze coloniali europee è la soluzione più economica ed efficace per controllare le società e per contrastare le minacce terroriste e insurrezionali. Comporta però molti rischi, come lo fu quello di utilizzare un gruppo mafioso contro un altro. Può suscitare divisioni nella propria opinione pubblica. Ricorrente è però la tentazione di utilizzarla anche in Siria. Però le tribù hanno perduto, con l’urbanizzazione, come avvenuto anche in Libia, la forza di un tempo. Il campo sunnita è indebolito dalla sua frammentazione localistica oltre che tribale. Essa rende impraticabile la formazione di un fronte unico, come era avvenuto in Iraq con il Sunni Awakening, che possa essere contrapposto all’Isis. L’utilizzo contro l’Isis del Fronte al-Nusra è avversato dagli insorti più moderati, sostenuti dalla coalizione a guida americana.

Il “dilemma del terrorista” è divenuto così anche il “dilemma della coalizione”. Rende difficile uscire dal ginepraio siriano.



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