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Ecco perché Isis fa la guerra alle democrazie

Sfogliando le notizie di oggi è pressoché impossibile non rilevare la centralità che assume, sia in politica estera e sia negli affari interni, la questione Isis. Lo Stato islamico, infatti, è stato oggetto delle grida di giubilo con cui è stata accolta la notizia che in Marocco si è firmato un accordo per la rinascita del nuovo governo di unità libica; è stato al centro della risoluzione delle Nazioni Unite che, grazie all’accordo Russia – Stati Uniti, boicotta qualunque Paese faccia affari con i terroristi. Ma Al Baghdadi è stato al centro anche degli interventi di casa nostra: Sergio Mattarella ha definito l’Italia un Paese in prima linea nella lotta contro l’Isis, e Renzi e Salvini si sono scontrati pure su questo, dai rispettivi punti di vista, ma sempre contro il terrorismo.

Ora, dal punto di vista politologico, l’esistenza e la diffusione nel mondo di una organizzazione politica autoritaria e fondamentalista apre una considerazione molto importante sul significato che assume a livello religioso la distinzione tra Cristianesimo e Islam, e a livello geografico quella tra Occidente ed Oriente. Nell’immaginario comune si potrebbero, e di fatto vengono spesso, identificati questi diversi piani: noi cristiani, loro musulmani; noi occidentali, loro orientali.

Niente di più semplice, ma anche niente di più erroneo. La sconfessione della prima endiade è data dal fatto che autorità religiose sunnite e sciite siano intervenute qualche settimana fa per condannare come non musulmana, ossia incompatibile con la visione spirituale coranica, questa azione violenta e criminale che produce le sue metastasi ovunque manchi un controllo autenticamente politico del potere. A ciò si può aggiungere la coalizione tra trentaquattro stati islamici, alcuni dei quali oggetto anche di polemiche per occulti sostegni all’Isis, che hanno creato una Lega anti terroristica esplicitamente ostile alle bandiere nere.

Nel secondo caso è sufficiente osservare, anche unicamente dal punto di vista storico, che non è il carattere orientale a definire i contorni incivili dello Stato Islamico, ma la concezione politica del potere che muove tale organizzazione alla realizzazione delle proprie finalità usando i tagliagole e le pulsioni suicide.

Dunque, nessun conflitto religioso tra le civiltà e nessun confine geopolitico. Il problema tuttavia della differenza radicale tra le due visioni della politica resta lo stesso in atto, sebbene bisognoso perciò di una comprensione di tipo diverso.

L’opposizione riguarda, come ha spiegato molto bene Roger Scruton in un recente libro La tradizione e il sacro, il concetto di legge e quello di democrazia. In tal senso lo Stato islamico non è un nemico perché islamico ma perché considera il potere come il risultato della forza brutale che s’impone, e considera la legge una potenza dominatrice che proviene dall’alto che s’imprime sopra la testa delle persone, esprimendosi attraverso il potere armato e cruento di una minoranza.

Anche l’Occidente cristiano ha conosciuto in certe fasi del passato tentativi e esperimenti molto simili a questi. Durante il feudalesimo e ancor prima all’epoca delle invasioni barbariche, anche quando i popoli erano già convertiti alla fede cristiana, i nomadi europei vivevano la politica in modo molto simile, schiacciando le dinamiche del potere ad un livello naturalistico, istintuale, e identificando il diritto con la forza brutale, smantellando quanto era rimasto in piedi dello Jus romano.

Tutto ciò è incompatibile con la democrazia, la quale implica non un ordine sociale fondato su rapporti naturali e animali, ma una idea di società la cui attuazione politica implica il concorso della volontà dei cittadini e della loro auto determinazione. Il consenso, in democrazia, non è estorto o indotto con la sottomissione, non è imposto da Dio, ma si esprime attraverso la capacità di un popolo di darsi liberamente delle leggi e di esprimere autonomamente i propri organi di governo.

La lotta contro l’Isis è dunque una battaglia a favore della libertà della democrazia contro il ritorno ad una società barbarica fondata su puri rapporti naturali e bestiali tra individui.
Come ha spiegato Jacques Maritain, nel bellissimo volumetto Cristianesimo e democrazia, un classico scritto del dopoguerra, la democrazia è possibile soltanto se i rapporti sociali escono da un ambito puramente emotivo e muscolare e si innalzano nella libertà su di un livello spirituale di razionalità e libertà comune. In tal senso la democrazia ha bisogno della religione, non esclusivamente di quella cristiana, ma di qualsiasi programma interiore che spinga gli uomini ad oltrepassare la natura primitiva per realizzare una vita umana migliore e più autentica. C’è dell’utopia in questo, sicuramente, ma senza tale idealismo tuttavia si torna a vivere come le bestie.

L’Isis è il nemico della democrazia, perché è ostile per principio ad un progresso personale, ad una crescita del livello di civiltà: è infatti antagonista distruttore della cultura, che esprime proprio questo bisogno di andare oltre il visibile e trovare un senso di bellezza e armonia nella vita, rendendo così possibile la felicità di tutti.

La vera opposizione, in definitiva, tra noi e loro è antropologica, vale a dire quella tra una civiltà che ha fede nella libertà e pensa la politica come volontà democratica, e coloro che per disperazione rifiutano questa progressiva crescita spirituale e optano per un ritorno alla violenza del diritto naturale.

L’Europa perciò, più di ogni altro continente, ha l’obbligo morale di combattere, e ancor più l’obbligo culturale di difendere e diffondere i propri ideali che sono sì cristiani ma lo sono in quanto votati allo spirito dell’amore e al riconoscimento reciproco della dignità autonoma e cosciente di ogni persona libera.

Quello che il terrorismo vuole ottenere è che l’Europa, l’America, ma anche i Paesi islamici moderati, per combattere l’Isis abbandonino la democrazia, rinuncino alla libertà, e siano travolti in una spirale di paura e di naturalizzazione dello Stato. Davanti ai rischi dell’anti democrazia, viceversa, non si può mai rispondere senza democrazia. E di fronte a chi vorrebbe che ci spogliassimo del nostro umanesimo noi dobbiamo restare fedeli allo spirito etico che definisce l’essenza delle nostre società liberali, spirituali, aperte e fiduciose in un avvenire di pace.

 


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