Secondo il Wall Street Journal, Barack Obama ha deciso che sarà Joseph Votel a sostituire il generale Lloyd Austin alla guida del Comando Centrale statunitense, il CentCom, che si occupa di gestire le operazioni militari americane nello spazio geografico che va dall’Egitto all’Afghanistan: in questo momento le aree più calde del mondo.
Votel, generale a quattro stelle, è attualmente il capo dello Special Operations Command, la divisione del Pentagono che si occupa delle operazioni in cui sono impiegate le Forze speciali. La mossa, per gli esperti, ha valore politico, perché marca la strada che l’Amministrazione sta prendendo nella strategia di contrasto al terrorismo: l’impiego di piccoli team di commando composti da uomini dell’élite militare, che viaggiano leggeri e rapidi, senza portarsi dietro il peso delle classiche componenti terrestri sia in termini di mezzi sia di numeri di unità.
Nonostante il “no boots on the ground” sia da anni la strategia del presidente, Obama ha scelto di fare diverse eccezioni alla sua linea, per esempio schierando due squadre di operatori dei reparti speciali al fianco del raggruppamento di ribelli che stanno scendendo dal nord siriano verso Raqqa, la “capitale” dello Stato islamico, oppure in Niger, dove uomini delle Forze speciali americane sono sul campo per coordinare la controffensiva che l’esercito nigerino sta portando avanti insieme ad altri Paesi confinanti.
SEGNALI
C’erano già segnali che Votel avesse guadagnato grossa influenza nell’inner circle presidenziale. Quando a dicembre del 2015 Obama si presentò nella briefing room del Pentagono per annunciare i nuovi piani di Washington contro lo Stato islamico, a fianco a lui, e insieme al vice presidente Joe Biden, al segretario alla Difesa e al capo delle Forze armate, c’era proprio Votel. Una presenza che aveva creato discussione (e qualche malcontento nel Pentagono).
I PROBLEMI DI CENTCOM
I report falsati. C’è un altro dato dal valore politico. Un ufficio del Pentagono in questo momento si sta occupando di analizzare le comunicazioni e le analisi tra Centcom e intelligence in merito alle valutazione sullo Stato islamico. Un’inchiesta del New York Times aveva svelato, a novembre, che mentre l’Isis conquistava ampi territori in Iraq nel giugno del 2014 e gli analisti sottolineavano che le offensive avvenivano praticamente senza trovare la resistenza dell’esercito iracheno (che dove era presente batteva subito in ritirata), quei report venivano manipolati in positivo da funzionari militari di livello superiore: report che spesso finivano anche nello Studio Ovale come dati su cui basare le strategie “anti Isis”.
I ribelli siriani addestrati. Altro aspetto che per gli analisti ha probabilmente pesato sul generale Austin è stata la scelta di addestrare alcune unità di truppe ribelli siriane da utilizzare contro il Califfato come Forze di terra fidate per la Coalizione a guida americana. Il piano si rivelò di scarso successo: dopo una scrematura, atta a vagliare eventuali elementi infiltrati nel programma (cioè combattenti “non moderati”), alla fine furono addestrati meno di sessanta combattenti. Questi, appena messi sul terreno in Siria, sono stati attaccati dalla qaedista Jabhat al Nusra e sono stati costretti a consegnare armi e bagagli per salvarsi. A settembre lo stesso Austin, in audizione alla Commissione Forze armate del Senato, ammise che forse sul campo di quei ribelli addestrati e certificati dal Pentagono, «ne erano rimasti quattro o cinque». Il programma fu sospeso.