Come diceva un film di Woody Allen di qualche tempo fa, “basta che funzioni”. Il cineasta americano si riferiva ai rapporti uomo-donna, qui invece pensiamo a quelli politici, e in particolare al connubio ormai consolidato tra Matteo Renzi e Angelino Alfano. In nome di questo rapporto, e della permanenza al governo, il ministro dell’Interno ha sacrificato anche qualche pedina importante della sua scacchiera, basti pensare a Gaetano Quagliariello o al senatore Andrea Augello. Ma tant’è. Angelino vuole stare al governo con Renzi e non ci pensa minimamente e tornare in un centrodestra dove al momento bisogna fare lo slalom tra le macerie.
I risultati, per lui, non sono malaccio. Con le unioni civili, per esempio, Alfano sta facendo sentire forte la sua voce, con il supporto non secondario della Chiesa e dei movimenti cattolici. Non sappiamo se alla fine la stepchild adoption ci sarà o no, ma Ncd (o Ap che dir si voglia) ha piantato i suoi paletti sul terreno. Angelino non farà cadere l’esecutivo sulle unioni civili, nemmeno se passeranno con una maggioranza diversa da quella governativa, pensando magari a un referendum come soluzione estrema se passasse davvero la stepchild adoption. Ma ha sbattuto i pugni sul tavolo. Lo stesso vale per il reato di clandestinità, dove invece il ministro dell’Interno è riuscito a convincere il premier a ritirare il decreto per la cancellazione. Altro risultato incassato di recente da Alfano è la nomina a giudice della Consulta di Giulio Prosperetti, giurista di area centrista. E forse verrà anche premiato a breve da un mini rimpasto di governo. In altre occasioni, invece, il titolare del Viminale ha dato manforte al premier aiutandolo a sedare gli attacchi provenienti dalla minoranza del Pd, ad esempio sul Jobs Act o sulla riforma del Senato.
Il rapporto sembra funzionare in maniera biunivoca. Facendo gioco a entrambi. A Renzi avere qualcuno che da dentro l’esecutivo gli muove delle velate critiche e si oppone a qualche provvedimento serve per togliersi di dosso l’abito dell’imperatore solo al comando. Senza Alfano, infatti, l’esecutivo verrebbe percepito come un monolite statico. Mentre una certa dose di dialettica fa bene a Renzi. Dialettica che poi è tutta sulla carta, perché da quando in aiuto a Palazzo Chigi è sopraggiunta la truppa verdiniana, Ncd conta ancora meno.
Sul fronte opposto, invece, litigare con Renzi ad Alfano è fondamentale per non essere percepito come totalmente schiacciato a sinistra. Mantenere una certa autonomia dal Pd per Ncd è una conditio sine qua non di esistenza in vita. Altrimenti, come dicono in molti e alcuni anche in Ncd, sarebbe meglio fondersi con i dem. E alla fine i risultati danno ragione ad Angelino. Area Popolare, infatti, si è attestata intorno al 3,5/4,5%: non sono numeri eclatanti, ma nemmeno da buttare via. Anche se finora Alfano non è riuscito nella mission più importante: intercettare i voti in libera uscita da Forza Italia, ormai sotto l’asticella del 10%.
Il problema per Area Popolare saranno le amministrative, perché dovrà riuscire ancora una volta nel miracolo di far digerire ai suoi elettori alleanze variabili: un po’ con il Pd e un po’ con il centrodestra. Ma la dialettica con Renzi resta fondamentale. Come un balsamo salutare. Più si attaccano e distinguono le posizioni, meglio è per tutte e due. In un gioco delle parti che può ricordare quello tra Berlusconi e Bossi nei tempi d’oro dei governi di centrodestra. La vera difficolta sorgerà, semmai, alle prossime politiche, quando uno degli obbiettivi di Renzi sarà quello di fagocitare i voti centristi. A quel punto i loro interessi divergeranno e la liason, che oggi funziona così bene, potrebbe incrinarsi. A meno che non nasca per davvero il “partito della nazione”, di cui Alfano farebbe parte a pieno titolo.