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Vi racconto il trambusto fra Lucia Annunziata e Giorgio Napolitano

Sommersa ingiustamente dalle cronache della legge Cirinnà sulle unioni civili, dalla disputa sul sesso degli angeli rappresentati dai voti di Denis Verdini e amici per la fiducia al governo posta sul testo modificato del provvedimento, dalla paternità e maternità surrogate della coppia Vendola, dall’incontro di Matteo Renzi con Jean-Claude Juncker a Palazzo Chigi e dai preparativi di un intervento militare in Libia, è passato un po’ sotto silenzio uno scontro consumatosi fra l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano e una giornalista storica, diciamo così, della sinistra italiana, per quanto di soli 66 anni neppure compiuti. E’ Lucia Annunziata, proveniente dal Manifesto, collaboratrice in corso di Rai 3 e direttrice dell’edizione italiana dell’Huffington Post, ospitata sul sito telematico di Repubblica.

Per niente convinta, giustamente, che le novità emerse sulle intercettazioni americane subite da Silvio Berlusconi nel 2011 fossero da buttar via perché “tanto, Berlusconi se lo meritava”, ed era comunque un “avversario”, Annunziata si era permessa il 23 febbraio scorso di chiamare in causa appunto Napolitano. Che, stando cinque anni fa al Quirinale, poteva e doveva considerarsi “il deus ex machina del passaggio” a Palazzo Chigi da Berlusconi a Mario Monti, considerato più affidabile a Bruxelles, Berlino, Parigi e forse persino a Washington, nonostante Obama dicesse di non volersi “sporcare le mani col sangue” del Cavaliere italiano.

Con o senza l’inchiesta parlamentare inutilmente reclamata da Forza Italia già di fronte alle prime ricostruzioni inquietanti di quell’estate del 2011 fatte dal giornalista americano Alain Friedman, e riproposta ora per le ultime rivelazioni sulle intercettazioni americane eseguite sulle utenze telefoniche dell’allora presidente del Consiglio e dei suoi collaboratori, l’Annunziata aveva prospettato l’opportunità che facesse sentire la sua voce Napolitano in persona.

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Il presidente emerito della Repubblica, con uno stile paragonato da Fabrizio d’Esposito sul Fatto Quotidiano a quello di “un burocrate cresciuto alla scuola comunista”, ha dato dopo qualche giorno all’Annunziata una doppia “sprezzante risposta”. Ha escluso, sarcasticamente, di scrivere “un libro di memorie” e ha rimandato, per il resto, ai comunicati emessi dal Quirinale o alle lettere da lui scritte, sempre dal Quirinale, quando vennero fuori le ricostruzioni dell’estate e dell’autunno del 2011 fatte da Friedman. Comunicati e lettere, in particolare al Corriere della Sera, che aveva anticipato passaggi importanti del libro del giornalista americano, in cui Napolitano rivendicava la regolarità e totale autonomia delle decisioni prese per il passaggio da Berlusconi a Monti.

Più importante, o significativa, della polemica in sé fra l’Annunziata e Napolitano, o viceversa, è il fatto che a raccogliere e rilanciare l’articolo della giornalista sia stata in prima pagina, con tanto di ringraziamenti finali all’Huffington Post, il 25 febbraio scorso l’Unità diretta da Erasmo D’Angelis. Ciò conferma la svolta costituita dalla nuova edizione, di conio renziano, del giornale comunista fondato nel lontano 1924 da Antonio Gramsci. Una svolta già sottolineata su Formiche.net in questi giorni, ma anche nei mesi scorsi, quando il giornale una volta ufficiale del Pci aprì e sviluppò con ampiezza un dibattito senza sbocco predefinito sull’eredità politica di Enrico Berlinguer, il leader comunista italiano sicuramente più storico, e persino più popolare, dopo Gramsci e Palmiro Togliatti.

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In verità, dopo avere rilanciato l’intervento di Lucia Annunziata, coraggiosa – a sinistra – per la sostanziale difesa della posizione del pur odiato Berlusconi in quell’oscuro 2011, tra i suoi festini privati e spiati tra Arcore e Roma, l’Unità di D’Angelis non si è spinta a difendere la direttrice dell’Huffington Post italiano dalla reazione di Napolitano. Come hanno fatto invece, col corsivo giù ricordato di Fabrizio d’Esposito, al Fatto Quotidiano, peraltro nato da una costola proprio dell’Unità, provenendo da lì il fondatore Antonio Padellaro e l’attuale direttore Marco Travaglio.

Ma la cautela rispettosa di D’Angelis nei riguardi di Napolitano si può capire con il realismo della politica. Si tratta pur sempre dell’unico presidente della Repubblica proveniente in toto dalla storia del Pci, certamente insoddisfatto al Quirinale della condotta spesso troppo ondivaga e opportunistica dei suoi ex compagni di partito, ma pur sempre comprensivo delle loro logiche interne. Al punto da accettare all’inizio del 2014 un passaggio oggettivamente anomalo dal governo guidato da Enrico Letta ad uno diretto dal neo-segretario del Pd Matteo Renzi, forte solo di un voto della direzione del partito. Fu insomma una crisi extra-parlamentare, di quelle abusate nella storia della cosiddetta Prima Repubblica e che gli innovatori della seconda avevano promesso di non replicare.

Il rilancio della questione posta dall’Annunziata doveva evidentemente bastare ed avanzare alla nuova Unità solo per ammonire eventuali malintenzionati, oltr’Alpe, a non provarci neppure a liberarsi alla vecchia maniera di un presidente del Consiglio italiano dalla schiena troppo diritta, come Renzi viene sofferto spesso nell’Unione Europea. Messaggio forse ricevuto.


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