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Io, Giorgio Napolitano e la sinistra. Parla Macaluso

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Dell’amico di una vita, Giorgio Napolitano, il presidente emerito, tirato in ballo da retroscena e editoriali che gli attribuiscono tutte le trame possibili e immaginabili, sulla base dei dispacci di Wikilikeas, ai danni dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi e che lo dipingono addirittura come “un burattinaio” che tramerebbe anche alle spalle di Matteo Renzi, Emanuele Macaluso non intende parlare. Alla sollecitazione di Formiche.net oppone un secco no sulla base della regola che si è dato da quando l’amico di una vita diventò Capo dello Stato: “Non commento quanto viene scritto su Napolitano…”. Ma un sassolino dalla scarpa alla fine Macaluso se lo toglie con ironia: “Gli rimproverano di fare ancora troppa politica? Ma che dovrebbe fare? Rinchiudersi in convento?”.

E neppure lui Macaluso, alla soglia dei 92 anni (li compirà il prossimo 21 marzo), un anno in più rispetto a “Giorgio”, con il quale era leader della cosiddetta corrente migliorista del Pci, in convento ha deciso di rinchiudersi. Suggerisce entusiasta: “Parliamo piuttosto della lezione sul socialismo che ho tenuto l’altro giorno (sabato 27 febbraio, ndr) alla scuola di formazione politica dei giovani del Pd. Quei ragazzi mi hanno tanto applaudito, è stata una cosa bellissima!”.

Il più vecchio di quei “ragazzi” avrà avuto trent’anni, ma la gran parte di loro era fatta di ventenni. Per quasi due ore il “giovane” Macaluso, come lui autoironicamente si è definito, ha tenuto quasi in religioso silenzio i ragazzi del nuovo Pd, al quale lui non si è mai iscritto, che si sono abbeverati alla sua lezione. E hanno ascoltato le sue opinioni sui settantenni leader emergenti della sinistra mondiale, leader di una sinistra che rappresenta l’anima più radicale dei rispettivi partiti: dal britannico Jeremy Corbyn all’americano Bernie Sanders. Per Macaluso non rappresentano la soluzione vincente della sinistra. Ma l’ex senatore del Pci invita anche a chiedersi perché questi leader si affermano, perché, ad esempio, “dopo Tony Blair nel Labour inglese c’è stato un tale sbalzo che ha portato a Corbyn”.

La ragione di questo “sbalzo”, per il leader dei miglioristi, è dovuta alla domanda che nel mondo pone alla sinistra “l’allargamento sempre più forte della forbice tra ricchezza e povertà”. Una realtà “nella quale incidono” questi nuovi leader. Nel momento in cui anche la sinistra rappresentata dal socialismo europeo sembra “dare risposte solo ai problemi dell’oggi, senza un’idea del mondo, ovvero senza fornire progetti d’orizzonte”. Un problema che si fa sentire naturalmente anche per la sinistra italiana e per il Pd. Macaluso in un’intervista a “Il Quotidiano nazionale” pubblicata lunedì 29 febbraio, dà stoccate al Pd di , pur senza mai nominare il premier e segretario del partito. Lo accusa di non poggiare su un solido impianto progettuale e culturale, di non avere insomma solide radici. Il rischio, dice nell’intervista, è che si vada avanti con “i party show”.

Ma ai ragazzi della “classe del Pd”, che lui chiama “compagni” come se fosse in una novella Frattocchie, l’ex direttore dell’Unità e del Riformista elenca anche le ragioni del perché si è arrivati a questa assenza di ideologia, intendendo per ideologia “un’idea del mondo”. Ricorda le fratture mai sanate della sinistra italiana, a partire dalla scissione di Livorno del 1921 quando dal Partito socialista nacque il Partito comunista. “Una divisione che favorì in qualche modo anche l’avvento del Fascismo”, osserva.

Ma il filo della sua lezione è tutto teso a ricordare che il Pci di Palmiro Togliatti era certamente “antisistema” per le sue rivendicazioni ma “era anche nel sistema” perché la strada tracciata fu quella di cercare “di ottenere il socialismo attraverso le riforme, l’applicazione della Costituzione”. Macaluso rivendica i successi per il progresso sociale di enormi masse anche analfabete, e di conseguenza anche per sviluppo del Paese, che la sinistra ha ottenuto. Grazie anche al sindacato, quello stesso sindacato “al quale bisogna continuare a iscriversi proprio per cambiarlo e migliorarlo”, dice, in un’ovazione di applausi, in contrapposizione con l’intervento che lo aveva preceduto di Oscar Farinetti, fondatore di Eataly.

Spiega Macaluso del perché lui, Napolitano, Gerardo Chiaromonte, Paolo Bufalini venivano chiamati un po’ sprezzantemente miglioristi, come se si fossero accontentati di migliorare e basta il capitalismo: “L’ho scritto anche in un mio editoriale da direttore dell’Unità perché sono migliorista, rivendicando questo termine”. Aggiunge: “Se la sinistra non migliora una situazione, un problema che si presenta che sinistra è? Le stesse leghe socialiste si chiamavano leghe di miglioramento. Noi costituimmo quell’area agli inizi degli anni Novanta dopo che Achille Occhetto fece la svolta. Aderimmo, a differenza degli ingraiani, ma sulla base di una precisa richiesta. Quella di essere parte del socialismo europeo”.

Le cose andarono in modo più complesso e travagliato, l’ex Pci-Pds-Ds preferì poi chiamarsi Partito Democratico. Ma i problemi venivano da lontano. E davanti ai ragazzi della “classe Pd” il novantenne Macaluso fa un inedito mea culpa, addossandosi anche una responsabilità personale: “Noi sbagliammo il giudizio sui paesi del cosiddetto socialismo reale, rivelatisi delle dittature. Ma ce ne distanziammo, Enrico Berlinguer lo fece più di tutti”. Riprende fiato e ammette: “Ma un collegamento rimase… e questa la vivo anche come una responsabilità personale perché io ho ricoperto incarichi importanti, in segreteria con Togliatti, a capo dell’organizzazione…”.

Riconosce la validità “pur con qualche venatura utopica” del socialismo liberale dei fratelli Rosselli. Fino al Psi di Bettino Craxi non arriva. Per questo ci vorrebbe un’altra seduta alle nuove Frattocchie del Pd.

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