Skip to main content

Ecco sfide e rischi di un intervento militare in Libia

Il mediatore dell’Onu, Martin Kobler, sta prendendo atto della realtà libica, cioè dell’impossibilità di un governo d’intesa nazionale (GNA). È così caduto il comodo alibi della legalità per non intervenire in Libia. Era una foglia di fico, per coprire le indecisioni dei governi occidentali e la loro incapacità di definire gli obiettivi di un intervento. Senza un governo legalmente riconosciuto, il Consiglio di Sicurezza non autorizzerà l’impiego della forza. Non resta che una decisione unilaterale da parte di una “coalizione di volonterosi”.

LA MAPPA DEGLI STATI

Sul piano pratico le cose non cambiano. Qualsiasi GNA non avrebbe avuto la legittimazione necessaria per chiedere l’aiuto internazionale né, tanto meno, la forza per sostenerlo con proprie truppe contro l’Isis. La realtà che conta in Libia, oltre i drappi neri, sono i due governi e i loro seguaci. Il primo è quello di Tobruk, sostenuto dall’Egitto, dalla Francia e dagli Emirati, che dispone delle forze del generale Kalifa Haftar e dell’”Operazione Dignità“. Il secondo è quello di Tripoli, dominato dai Fratelli Musulmani e sostenuto dalla Turchia e dal Qatar. Esso dispone di una miriade di milizie, già facenti parte dell’“Operazione Alba”. Le più potenti sono quelle di Misurata. Fra i due c’è l’Isis, che si è installato nella provincia di Sirte crescendo rapidamente, non solo con nuove reclute, soprattutto libiche e tunisine, ma anche con combattenti dalla Siria e dall’Iraq, che starebbero tornando in Libia. Si rifugerebbero in essa, secondo taluni, per le sconfitte che stanno subendo in Medio Oriente; secondo altri, per una scelta strategica deliberata. Il condizionale è d’obbligo.

REBUS ISIS

Non vedo come l’Isis possa spostare il suo centro di gravità in Libia. Oltre al lungo viaggio marittimo per raggiungere il paese, lì i drappi neri non possono sfruttare il contrasto confessionale fra sunniti e sciiti. La popolazione libica è tutta sunnita, anche se appartenente a sette diverse, talune più radicali, altre più moderate. L’intero territorio è occupato dalle milizie, spesso legate alla criminalità organizzata. Inoltre il Califfato, in Libia, non ha la possibilità di autofinanziarsi come in Medio Oriente. Il contrabbando di petrolio, fonte principale dei fondi dello Stato islamico, può avvenire soprattutto con petroliere, con un mare dominato dall’Occidente.

LA STABILIZZAZIONE NECESSARIA

I governi orientati a intervenire in Libia devono risolvere vari interrogativi. Il primo riguarda la reale pericolosità dell’Isis per l’Europa. Un’invasione del continente da parte degli jihadisti è impossibile. Per gli attentati occorrono pochi terroristi. È preferibile che siano locali, “per poter nuotare come pesci nell’acqua”. Gli esterni sarebbero guardati con sospetto. Che la Libia possa divenire la base da cui colpire l’Europa è un’ipotesi decisamente fantasiosa. Non lo è invece la possibilità dei drappi neri di colpire a est e a ovest gli altri Stati dell’Africa settentrionale, oppure di spingersi a sud, nel Sahel e nell’Africa subsahariana. La loro destabilizzazione rappresenta il pericolo maggiore. Aumenterebbe il flusso di migranti. Esso sta già distruggendo la coesione dell’Unione Europea. Senza Unione, l’Europa è destinata a uscire dalla storia. La mancata stabilizzazione dell’Africa aumenterebbe disastrosamente tale pericolo. Stabilizzando la Libia si ridurrebbero le ondate immigratorie da Sud.

GLI OBIETTIVI DELL’INTERVENTO

Si sarà costretti, prima o poi, a intervenire, non tanto per il pericolo del terrorismo, quanto per trasformare l’Africa Bianca in una barriera capace di ridurre l’immigrazione da quella Nera. L’Isis lo impedirebbe. I libici non sono in grado di contenerlo, non perché non abbiano le forze necessarie, ma perché non sono interessati tanto all’Isis, quanto alle dispute fra Tripoli e Tobruk. Allora il problema si allarga. L’intervento non può riguardare solo lo Stato islamico, ma gli assetti della Libia. Il contenimento del Califfato non potrebbe essere che temporaneo. Il vuoto di potere in cui prospera va riempito. I due problemi – quello dell’Isis e quello della Libia – sono interconnessi.

LE TRE IPOTESI

Quali sono allora gli obiettivi da perseguire per un intervento in Libia e quale la strategia da adottare, ora che sono cadute le illusioni della “bacchetta magica” del GNA? Possono ancora essere diversi. Primo, mettere fine al caos libico con un intervento unilaterale come quello del 2011, disarmare le milizie e troncare i loro legami con la criminalità organizzata. Secondo, allearsi sia con Tripoli che con Tobruk, consapevoli che la Libia verrà divisa fra la Tripolitania e la Cirenaica. Terzo, allearsi con una di esse, aiutandola a vncere la guerra civile.

I RISCHI DI UN INTERVENTO UNILATERALE

La prima soluzione, quella dell’intervento unilaterale, senza alleati locali, è impraticabile. Compatterebbe tutti i libici, anche le varie milizie con l’ISIS, contro quelli che sarebbero considerati invasori. Eccederebbe le risorse disponibili. Presupporrebbe la ri-colonizzazione della Libia. Le disastrose esperienze di nation- e di state-building la sconsigliano. Un intervento potrebbe essere unilaterale solo se avesse lo scopo di contenere temporaneamente l’ISIS. Allora potrebbe ridursi a qualche bombardamento, senza l’intervento di truppe a terra, se non di nuclei di forze speciali per designare agli aerei gli obiettivi da colpire.

ALLEANZA CON LE DUE FAZIONI

La seconda soluzione – quella di allearsi con entrambe le fazioni – sarebbe la meno costosa per sconfiggere l’Isis. Potrebbe però non essere risolutiva. Le due fazioni continuerebbero a combattersi fra loro, una volta eliminati gli uomini del Califfato. La divisione della Libia presenterebbe grandi difficoltà per almeno due ragioni. L’80% delle risorse petrolifere libiche sono situate nel Bacino della Sirte, ai confini delle due regioni. L’urbanizzazione ha poi frammischiato le tribù ed eroso la forza delle loro strutture tradizionali, che non possono essere utilizzate per la stabilizzazione del paese.

LA TERZA SOLUZIONE

La terza soluzione è quella che sta seguendo la Francia, sostenendo l’Egitto e Tobruk. Diventerebbe difficile un accordo fra i componenti della coalizione – sia occidentali che arabi – data la differenza fra i loro interessi. L’intervento dovrebbe poi essere consistente per permettere la vittoria di una parte, mentre la pacificazione del paese potrebbe rivelarsi impraticabile.

CONCLUSIONE

Insomma, un pasticcio. Ciò fa ritenere che verrà adottata non la soluzione migliore, ma quella più facile e meno costosa economicamente e politicamente. Quella cioè di limitarsi a qualche bombardamento contro l’Isis, lasciando per il resto le cose come stanno, cioè ai libici di risolvere i loro guai.


×

Iscriviti alla newsletter