Il dibattito sulle riforme in Italia è destinato a non finire mai, come il domani di 007. Non so se questo fatto sia un caso o una iattura, ma è certamente così anche stavolta. La legge appena approvata, a dire il vero, non è esaltante, né entusiasmante. Come sarebbe potuta esserlo, d’altronde? È però almeno qualcosa, e qualcosa di concreto, finalmente.
Adesso il nodo del contendere riguarda, ad ogni buon conto, il prossimo passaggio politico, sotto molti aspetti quello più importante e decisivo: il referendum confermativo. La maggioranza ha depositato ieri in Cassazione la richiesta, e le contestazioni, come era da attendersi, non sono mancate.
L’atteggiamento della minoranza interna del PD ha eretto le solite barricate, rifiutandosi di sottoscrivere la richiesta. Fin qui niente di strano, se non fossero state date le motivazioni con un ragionamento politico singolare e capzioso: “Per galateo istituzionale, sono le opposizioni a chiedere il referendum su una riforma. Se lo fa la maggioranza, chi fa la legge vuole un plebiscito (sic)”.
Come dire che a modo di vedere di Cuperlo, Speranza e co. vi sarebbe un tentativo renziano di avere un’investitura popolare su se stesso utilizzando il pretesto della riforma. La sortita fa tornare in mente gli strali che nel ’74 furono sollevati contro Fanfani in occasione del divorzio. Allora come oggi si diceva: se vince il referendum, vinciamo tutti; se perde, perde solo lui.
Bene. A prescindere dalle differenze ovvie tra i due casi, evocare il pericolo plebiscitario in tale contesto appare totalmente irrazionale. A rintuzzare ci ha pensato il presidente Mattarella ricordando che “le conquiste e i cambiamenti sono effimeri se non supportati dal consenso popolare”. Infatti, nel merito di questo referendum di convalida delle riforme è la verifica del consenso e non l’investitura plebiscitaria che conta realmente, e rassicura, o dovrebbe, la gente comune.
Dietro questa presa di posizione contro Renzi si nasconde tuttavia, al di là di come la si pensi su di lui e sulle riforme, una malattia cronica di una certa sinistra incapace di essere autenticamente democratica e popolare, unita, soprattutto, alla paura incontenibile di pensare in termini positivi la partecipazione volontaria dei cittadini.
Andiamo al sodo. Queste riforme sono parziali ma importantissime: toccano l’essenza della nostra forma dello Stato e riducono il bicameralismo perfetto in modo considerevole. Permetteranno uno snellimento legislativo senza eliminare il Senato. Si pensa veramente che sia una questione di maggioranza o opposizione?
Il popolo italiano, chiamato a votare su quesiti assurdi quali le trivelle, si vorrebbe veramente tenerlo fuori da dare un parere diretto su una cosa tanto rilevante per il proprio futuro?
Oltretutto, si consideri che tutte le scelte politiche in democrazia sono oggetto di plebisciti legittimi. L’alternativa è burocratizzare e imbavagliare il voto popolare, come si faceva in Unione Sovietica. Sarebbe il caso di smetterla perlomeno di creare sempre ostacoli insormontabili su ogni cosa alla politica sulla base di arzigogolati raziocini assolutamente incomprensibili e mistificatori.Votare semplifica la vita politica, mentre vivisezionare le parti è una pratica che si fa sui cadaveri.
In conclusione, la maggioranza ha portato a termine una riforma costituzionale controversa. Ottimo. Tutti dobbiamo essere contenti che la parola definitiva l’abbia adesso il popolo italiano. Dopodiché se sarà sì, sì. Se no, no. Il Vangelo suggerisce ironicamente che il resto è del demonio.