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Perché Matteo Renzi da rottamatore diventerà uno stabilizzatore

Matteo Renzi

Mentre l’Austria dietro le spalle si avvia a chiudere i confini del Brennero, l’Italia si trova stretta tra il Mediterraneo e le Alpi con la necessità sempre più urgente di ripensare i criteri con cui organizzare una futura complessa politica nazionale.

Di fatto nel corso di questa Legislatura parlamentare sono avvenute tre grandi novità: la prima è certamente la fine del bipolarismo centrodestra-centrosinistra. La seconda è l’affermazione forte del M5S come realtà politica permanente e determinante. La terza è la trasformazione della Lega in un partito di destra radicale.

Ora, a ben guardare, questi tre fattori sono effetto di una causa unica, vale a dire la fine del berlusconismo come baricentro del sistema, e la fine dell’anti-berlusconismo come opposto asse progressista.

L’ascesa di Matteo Renzi ha determinato il declino di quel dualismo che si perpetrava dal ’94, di pari passo, e forse in complicità silenziosa, con la parabola discendente del leader di Forza Italia.

Adesso si presentano tre modelli di democrazia differenti, che saranno in competizione tra di loro, a cominciare dalle prossime amministrative, davanti alla gestione degli scottanti temi all’ordine del giorno: dallo scandalo campano, alla diatriba di giustizia e corruzione, per passare alla tragedia degli immigrati, con gli annessi e connessi di politica estera, Libia ed Egitto in testa.

Vi è, ciò nondimeno, un tratto comune tra il prima e il poi. Il centrosinistra a trazione Renzi, con quanto dell’Area popolare collabora con lui al governo di maggioranza, è un coacervo di forze politiche che possiamo definire ‘repubblicane’. Si riconoscono nel sistema pluralista dei partiti e stanno all’interno di una sensibilità costituzionale che è la ragione ultima dell’attuale riforma dello Stato. Il modello prospettico prevede di restare all’interno di un sistema rappresentativo e popolare, di cui le istituzioni, i partiti e le leadership siano il vertice. È per questo che l’attuale confronto tra PD e Magistratura tende ad essere stemperato, non ricadendo nella guerra fratricida tra poteri dello Stato che caratterizzò il periodo d’oro berlusconiano.

L’obiettivo prossimo più importante per Renzi, quindi, è non perdere il referendum e non smarrire lo slancio progettuale. Il suo fare ha un futuro solo se sopravvive l’istanza riformatrice che gli ha dato popolarità due anni fa, con nuovi traguardi, ma costantemente nel quadro di una legittimità rafforzata dalla nuova Costituzione.

M5S e Lega, invece, si muovono, in concorrenza tra loro, completamente su un altro piano, ispirati all’unisono da una comune e diversa idea di democrazia, diretta e contrapposta a quella rappresentativa.

Per i Grillini il fine sta nel tradurre l’idea rousseauviana di Casaleggio in una forma di democrazia radicale ed etica basata sulla immediata manifestazione della ‘volontà popolare’. Si potrebbe definire un modello dinamico di democrazia diretta e movimentista che vive sulla funzione non delegabile della cittadinanza, e sulla sua istanza moralizzatrice del consenso al di sopra, anche se non necessariamente al di fuori, degli schemi repubblicani.

La Lega, da par suo, si indirizza su una medesima linea di emergenza democratica, la quale però non si traduce in un’attivazione perpetua della volontà popolare, ma in un’affermazione statica della realtà comunitaria e nazionale: il federalismo bossiano ha ceduto il passo ad un concetto tipico del radicalismo di destra a base nazionalista, con tutte le sue ramificazioni internazionali attualmente presenti, secondo il quale sono le comunità nella loro specifica identità d’essere ad incarnare la democrazia vera, supportata dalla delimitazione degli spazi e dalla necessità di tutelare la soggettività concreta, reale, e quindi non attiva e volontaria, dei cittadini.

È chiaro che siamo di fronte ad un passaggio interessante, dove lo schema post ideologico della politica contemporanea si declina in Italia nel senso o di una democrazia rappresentativa e riformatrice, o di una democrazia diretta e volontarista, o di una democrazia conservatrice, anch’essa diretta ma statica e organica.

In questo senso il M5S si rivela bene come vero ago della bilancia, in qualità di forza politica che può attivare la cittadinanza sia in senso progressista – renziano, sia in senso conservatore – salviniano.

L’uscita di scena mai consumata di Berlusconi e l’incapacità del vecchio centrodestra di trovare nuove leadership ha fatto nascere due movimenti ideologici e democratici classici e di massa, o che comunque aspirano ad esserlo, non paragonabili al berlusconismo se non in una certo eguale istinto populista che li sollecita e solletica.

Tutto ciò inevitabilmente porterà Renzi a diventare il baluardo del riformismo classico, ragionevole e compassato, impedendogli di poter restare il rottamatore delle origini: un atteggiamento quest’ultimo reso impossibile e incomprensibile, d’altronde, dopo un periodo di Governo. Renzi può essere unicamente adesso il rappresentante di un modello di cambiamento prudente, repubblicano e moderato: un gestore di sistema, compatibile più o meno con le novità internazionali e nazionali che sono intervenute nel cuore dell’opinione pubblica.

Roma sarà, in questo articolato quadro politico, il primo grande cantiere di lavoro di questa officina sperimentale del futuro, nel quale, soprattutto ai ballottaggi, si inizierà a capire dove pende il volontarismo Grillino, e, in specie, se veramente le due forme di democrazia diretta siano antagoniste tra loro oppure alleate insieme, in senso reazionario e rivoluzionario, contro il riformismo progressista.


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