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Cosa succede davvero nella Lega di Salvini, Maroni e Zaia

“Anche nella Lega c’è chi ne ha le scatole piene”, ha sussurrato su Matteo Salvini a Formiche.net uno di quei parlamentari di Forza Italia che si sono battuti per Alfio Marchini a Roma. Si riferiva solo alle bordate di Umberto Bossi, anche ferito dall’attacco a sua moglie Manuela e ai figli fatto una decina di giorni fa dal leader leghista sul Corriere della sera? Critiche alle quali il Senatur, ancora con il tono da gran capo padano, ha risposto tagliente sul Quotidiano nazionale: “Il raglio dell’asino non arriva mai in cielo”.

No, l’esponente azzurro si riferiva a una situazione di malessere, dopo la rottura con Silvio Berlusconi su Roma e le ormai dichiarate mire alla leadership del centrodestra da parte di Salvini, che ci sarebbe in una parte certamente non maggioritaria ma lo stesso da non trascurare nella nomenclatura di Via Bellerio.
Ma stiamo ai fatti e non ai gossip. È un fatto che il potente governatore lombardo Roberto Maroni per settimane abbia taciuto e su Facebook però abbia scritto che l’unità del centrodestra deve prendere ad esempio la sua Regione dove stanno tutti insieme :Ncd e Fratelli d’Italia compresi. Insomma quasi l’opposto di Roma. “Bobo” uomo forte della Lega che appena fu incoronato segretario, dopo Bossi, di fatto dette la prima investitura a Salvini ad Assago, ora correrà come capolista a Varese. E non a Milano dove più che a Roma il segretario del Carroccio si giocherà la partita della vita. Secondo interpretazioni maliziose apparse sulle cronache potrebbe essere un modo per andare alla conta in casa leghista.

Certo è che la prova del fuoco che attende “l’altro Matteo” è proprio a casa sua, Milano. Qui Stefano Parisi, candidato più di Berlusconi che suo, è chiamato a vincere. Ma proprio perché Parisi è più di “Silvio” che di “Matteo” la Lega dovrà prendere più voti di FI. Altrimenti sarebbe un po’ più difficile per Salvini mirare alla leadership dei “ruderi del passato”. Anche perché un Parisi vincente, e tanto più con Forza Italia sopra alla Lega, entrerebbe già di fatto nella rosa de potenziali leader del centrodestra futuro. La stessa cosa  accadrebbe ad Alfio Marchini se dovesse farcela a Roma.

Ma sembra che Salvini, che descrivono come uomo dai ragionamenti più freddi e pacati in privato rispetto alle effervescenze pubbliche, non si straccerebbe le vesti di fronte a una sconfitta della candidata Giorgia Meloni, leader di Fd’I, se non altro perché la Lega a Roma ha pochi numeri. E il segnale di sfida che doveva dare a Berlusconi secondo lui sarebbe ormai già arrivato. Un modo per minimizzare dopo aver accusato il colpo datogli dal “vecchio” Cav? Bisognerà vedere infatti come la prenderebbe una sconfitta a Roma anche il potente Giancarlo Giorgetti, più che il numero due di Salvini, un “Gianni Letta padano” sopravvissuto a tutti i segretari del Carroccio. Giorgetti, fortissimo nel gruppo alla Camera, prima che a Roma la situazione si avvitasse, era tra i maggiori sostenitori di Marchini, poi bloccato dal veto di Meloni. E finché Salvini, l’uomo che ha salvato la Lega dall’estinzione, continuerà a mietere voti, nessuno a Via Bellerio oserà saltargli addosso. Ma ci sarebbe già chi prevede: lui arriverà fino a un certo punto. Anche se quel certo punto potrebbe arrivare tra un decennio e oltre.

Chissà. Una cosa è certa. Bossi e dopo di lui Maroni hanno svezzato giovanotti su giovanotti con un ricambio continuo dei gruppi parlamentari. Tutti cresciuti al motto: sotto al prossimo che tocca, la Lega ha bisogno di tutti e di nessuno. È questa la scuola alla quale si è formato Salvini. Che ora però sembra stargli stretta. Ma per rottamare padri e colonnelli e lo stesso leader del centrodestra Berlusconi ora deve conquistare un centro di gravità permanente. Sulla sua strada ha Marchini e Parisi, e nel suo partito anche il più moderato veneto Luca Zaia, il governatore più votato d’Italia, da sempre però fedele soldato leghista e quindi del segretario federale soprattutto.

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