In queste settimane la diplomazia americana è tornata con forza ad attaccare il progetto legato al raddoppio del gasdotto Nord Stream, il Nord Stream II, fortemente voluto dalla Russia. Già in occasione del Consiglio sull’energia tra Stati Uniti e Unione europea, tenutosi ai primi di maggio, il Segretario di Stato Usa, John Kerry, aveva messo in guardia il suo omologo Ue, l’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. Oggi in un’intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera, il braccio destro di Obama per la politica energetica internazionale, l’Inviato speciale Amos J. Hochstein è tornato sul punto, invitando l’Europa a ripensare il progetto di Mosca.
Ma perché gli Usa si oppongono al nuovo tubo? Le motivazioni sono sostanzialmente due. La prima è geopolitica. Da tempo in Europa è in scena una sorta di guerra fredda energetica che vede Mosca e Washington su due versanti contrapposti. Dopo lo scoppio della crisi ucraina e l’avvio delle sanzioni contro la Russia, Obama ha avviato una politica tesa a puntellare economicamente la fascia dei paesi dell’Europa orientale più esposti alle rappresaglie del Cremlino, che spesso partono proprio utilizzando la leva energetica: taglio delle forniture di gas, revisione al rialzo dei contratti, etc. Come ha avuto modo di ribadire in passato anche lo stesso inviato Hochstein, il Nord Stream II rappresenta un problema di sicurezza nazionale per l’amministrazione americana: “Siamo molto preoccupati per un progetto che mette a repentaglio l’indipendenza energetica di paesi come l’Ucraina e la Slovacchia e rischia di spezzare il progetto dell’Unione energetica europea”, aveva detto il diplomatico a margine del Consiglio per l’energia Usa-Ue. Dal punto di vista americano a destare preoccupazione è il fatto che oggi la sicurezza energetica venga utilizzata come arma politica per creare una sorta di Europa dell’energia a due velocità: da un lato l’Europa occidentale che vive di un mercato aperto e di infrastrutture e tecnologia capaci di accogliere i flussi internazionali del gas, dall’altro un’Europa orientale ben al di sotto della frontiera tecnologica, scarsa di infrastrutture e schiacciata sempre di più dalla pressione e dal ricatto della Russia.
Il completamento del Nord Stream II aumenterebbe questa pressione geopolitica, perché darebbe ai russi la possibilità di far deviare tutti i flussi di gas verso l’Europa, dai tradizionali Paesi di transito (come per l’appunto l’Ucraina), direttamente attraverso un unico entry point, quello della Germania, che non a caso è la principale alleata di Mosca su questa partita, insieme all’Austria, direttamente legata ai transiti energetici tedeschi. Una pistola puntata alla tempia dei paesi dell’Europa orientale per Washington.
La seconda motivazione è prettamente commerciale. L’era del cheap oil – nata dalla strategia saudita tesa ad aggredire proprio gli Usa – lungi dall’aver affossato i produttori americani di shale gas (gas di scisto) e tight oil (idrocarburi non convenzionali) ha reso gli Stati Uniti – per la prima volta nella storia – un esportatore di energia potenzialmente a basso costo. Se n’è reso conto il Congresso Usa che, infatti, lo scorso dicembre ha definitivamente rimosso il divieto all’esportazione di gas e petrolio che era stato introdotto a partire dalle crisi petrolifere degli anni Settanta per non mettere a repentaglio le riserve strategiche del paese. Il principale mercato di sbocco del gas americano è proprio l’Europa. Per questo proprio Hochstein, per conto di Obama, è impegnato da mesi in un lungo tour diplomatico volto a rafforzare i legami con alcuni Paesi europei considerati strategici: il Portogallo, la Spagna e la Grecia, attraverso una linea di rigassificatori dal terminal portoghese di Sines – dove qualche giorno fa è approdato il primo carico di gas Lng a stelle e strisce – sino al terminal greco di Alexandroupoli, che gli americani vorrebbero ulteriormente potenziare. Sempre secondo Hochstein, “di fondamentale importanza sarebbe inoltre la creazione di due gasdotti d’interconnessione aggiuntivi ai confini orientali dell’Ue, uno nell’area del Baltico e l’altro fra Polonia e Lituania, così da fornire una linea alternativa per l’approvvigionamento alla Finlandia e ai paesi baltici”. Un altro tassello teso ad isolare la Russia nel puzzle geopolitico di questa nuova guerra fredda dell’energia.