Puntuali con l’appuntamento dato dai medici a Silvio Berlusconi per operarlo al cuore, sono giunti all’illustre paziente anche gli auguri del Fatto Quotidiano e dell’ex e primo segretario del Pd Walter Veltroni.
Il giornale diretto da Marco Travaglio ha dedicato all’ex presidente del Consiglio in prima pagina la “cattiveria” del giorno annunciando che “oggi e soltanto oggi, questo giornale non sarà antiberlusconiano”.
Meno ironicamente, pur non di sua iniziativa ma rispondendo volentieri ad un invito formulatogli dal direttore del Quotidiano Nazionale, come si chiama l’involucro dei giornali del gruppo Riffeser Monti, che sono Il Giorno, il Resto del Carlino e La Nazione, Veltroni ha fatto gli auguri al suo antagonista delle elezioni politiche del 2008, le prime affrontate dal partito nato con la fusione fra i resti del Pci e della sinistra democristiana. E ha spiegato di voler così mandare anche un messaggio contro “il tempo dell’odio” che ancora infesta la politica e, più in generale, la società italiana. Il tempo – ha spiegato l’ex segretario del Pd – “della trasformazione di chi ha opinioni diverse dalle proprie in un nemico da insultare o da eliminare”.
Non è detto che, così scrivendo dell’oggi, il mio amico Veltroni volesse riferirsi solo al pentastellato Giuseppe Grillo e al leghista Matteo Salvini, purtroppo accomunati dall’abitudine di insultare gli avversari fissi o di turno, negando loro il rispetto che pure reclamano per sé.
Può darsi, conoscendolo, che Veltroni volesse alludere anche a Matteo Renzi, il segretario attuale del Pd e presidente del Consiglio, al quale spesso il piede sfugge sul pedale dell’acceleratore, o le mani sul volante, irridendo i “professori”, per esempio, che criticano la sua riforma costituzionale e liquidandoli come gufi imparruccati o “archeologhi”. O lasciando, silenziosamente, che altri professori suoi estimatori facciano ai critici sulla sua Unità le pulci anche anagrafiche con pesanti riferimenti sarcastici alla loro “eccezionale lucidità”, vista l’età media vicina agli ottant’anni riscontrata, in particolare, fra gli ex presidenti, o presidenti emeriti, della Corte Costituzionale schieratisi sul fronte referendario del no alla riforma.
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Senza voler mettere in dubbio la sincerità dei suoi auguri a Berlusconi, che peraltro già nella campagna elettorale del 2008, per svelenirne il clima e spersonalizzare lo scontro, egli prese l’abitudine di indicare solo come “il principale esponente dello schieramento avverso”, sarebbe l’ora però che anche Veltroni riconoscesse pubblicamente, con l’onestà che gli riconosco ed ho spesso apprezzato sul piano privato e personale, il forte contributo dato anche dalla sua parte politica all’imbarbarimento del confronto e della competizione.
Il Pci, da cui Veltroni proviene, pur dicendo di non essere mai stato davvero comunista e riconoscendosi più nei discorsi di Kennedy, l’indimenticabile e drammaticamente sfortunato presidente americano, che in quelli di Stalin e successori, non era tenero con i suoi avversari.
Lo stesso Veltroni, prima ancora di concorrere e poi diventare segretario della prima riedizione del Pci, diresse l’Unità negli anni di Mani pulite, o Tangentopoli, con ben scarse concessioni, diciamo così, al garantismo. E senza molti riguardi per i pur pochi, anzi pochissimi, giornalisti della testata storica del partito che esitavano a scambiare il leader socialista Bettino Craxi per un delinquente.
Purtroppo, quando si semina vento si raccolgono tempeste. E così pure quando si costruiscono le alleanze, come quella che proprio Veltroni nella campagna elettorale del 2008 decise di stringere con Antonio Di Pietro. Che non considerava certamente Berlusconi solo come il già citato “principale esponente dello schieramento avverso”, ma come un nemico da abbattere. E finì – ahimé – per condizionare dopo le elezioni la linea della segreteria del Pd, contribuendo a mio modestissimo avviso a determinarne una rapida fine. Prima che finisse com’è finito lo stesso Di Pietro, dimentico del pur famosissimo avvertimento di Pietro Nenni che “c’è sempre uno più puro di te che ti epura”.
Mi sarebbe piaciuto che Veltroni in quel maledetto 2008 si fosse limitato all’intesa con i radicali, della quale si è giustamente vantato di recente, in occasione della morte di Marco Pannella, al netto delle resistenze incontrate nel suo partito e non tutte contrastate a dovere. Senza l’apparentamento con Di Pietro, io personalmente avrei allora votato Veltroni, pur continuando come elettore ad essere grato a Berlusconi di avere impedito 14 anni prima la vittoria della falsamente “gioiosa macchina da guerra” allestita dal segretario del Pds-ex Pci Achille Occhetto con la musica delle Procure della Repubblica.
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Le compagnie, o alleanze, bastano e avanzano per formulare buone previsioni o valutazioni. E fare anche delle scommesse, come quella di Giampaolo Pansa con i suoi lettori quando fu annunciata la nomina di Mario Calabresi a direttore di Repubblica, dopo i 20 anni del fondatore Eugenio Scalfari e i 20 di Ezio Mauro.
Allora Pansa si disse curioso di vedere come il tanto decantato o minacciato nuovo corso di Repubblica, secondo i gusti, avrebbe seguito il processo contro l’editore Carlo De Benedetti per i sette dipendenti dell’Olivetti morti per l’amianto del vecchio stabilimento d’Ivrea.
Dei 6 anni e 8 mesi di carcere appena chiesti dall’accusa per l’imputato eccellente, e delle condanne reclamate per gli altri, non si è trovato un solo rigo sulla prima pagina della nuova o vecchia Repubblica. Un eccesso uguale e contrario a quello di Libero diretto da Vittorio Feltri, pur tra le giuste proteste – per carità – per la scarsa attenzione riservata al processo da un po’ tutti i giornali, e non solo dalla Repubblica di carta dell’imputato più famoso.