A ridosso della Brexit, la decisione del popolo britannico attraverso un referendum di uscire dall’Unione Europea, è entrata nel vivo la corsa delle banche italiane per cercare di risolvere il loro problema principale: le sofferenze. In altri termini, quei prestiti di difficile rimborso che pesano sul sistema per circa 200 miliardi lordi e 80-85 netti (tenendo cioè conto degli accantonamenti effettuati a bilancio dalla singola banca). Il 28 giugno, per esempio, il Banco Popolare, reduce da un aumento di capitale da quasi 1 miliardo chiuso con successo subito prima del referendum inglese, ha annunciato di avere perfezionato la cessione di crediti leasing insofferenza per un importo nominale complessivo di 53,76 milioni di euro. In questo modo, l’importo totale dei crediti ceduti dal gruppo veronese prossimo alla fusione con Bpm sale a 239 milioni.
COSA HA DECISO CARIGE
Il nuovo board di Banca Carige ha approvato ieri il piano industriale 2016-2020 e ha tenuto duro nei confronti dei «suggerimenti» Bce: “Non è previsto — ha detto ieri agli analisti l’amministratore delegato Guido Bastianini — un aumento di capitale. Si parlerà eventualmente di questa ipotesi se sarà necessario». Circostanza che, nelle intenzioni degli amministratori, non si deve presentare. E l’ad ha affrontato il capitolo più scottante, quello dei non performing loan, annunciando la cessione di 1,8 miliardi di sofferenze entro il 2017, «la metà entro quest’anno», tramite processo competitivo e l’altra metà entro la prima parte del 2017 «considerando le condizioni di mercato» ma senza svendere con un costo previsto del 10 per cento.
LE MOSSE DI MPS
Tra le banche più attive sul fronte della cessione crediti inesigibili c’è Monte dei Paschi di Siena, che si è impegnata con la Banca centrale europea (Bce) a cedere 5,5 miliardi di sofferenze, su un totale di 46 lordi, entro il 2018. Ad aprile, l’istituto di Rocca Salimbeni guidato da Fabrizio Viola risultava essersi già liberato di 2 miliardi di prestiti di difficile recupero, mentre qualche giorno fa ha comunicato di avere sottoscritto un contratto di cessione pro soluto (con cui si cede cioè anche il rischio di insolvenza) e in blocco di un portafoglio di crediti non performing a Kruk Group. Quest’ultima è una società di recupero crediti fondata in Polonia e con un interesse prevalente nell’area Est Europa, Spagna e Germania, da un po’ di tempo a questa parte attiva anche sul mercato italiano. Il portafoglio ceduto è composto da oltre 40.000 posizioni per un valore contabile lordo di 290 milioni che sale a 350 milioni includendo gli interessi di mora maturati e altri addebiti ceduti insieme al capitale. Il pacchetto venduto da Mps, informa una nota della banca, è costituito da “crediti al consumo, prestiti personali e carte di credito, originati da Consum.it, che dal 2015 è stata incorporata in Banca Monte dei Paschi di Siena, di natura chirografaria”.
LA TRATTATIVA CON ATLANTE
In parallelo, da qualche giorno, stando a indiscrezioni riferite dal Messaggero, Mps starebbe trattando la cessione di crediti di difficile esigibilità per 1 miliardo lordo al fondo di sistema Atlante, nato per volontà di Giuseppe Guzzetti di Cariplo e guidato da Alessandro Penati. L’obiettivo sarebbe quello di chiudere la vendita del pacchetto il più velocemente possibile, così da evitare eventuali nuove turbolenze post Brexit che dovessero riaffacciarsi sui mercati finanziari. Si pone tuttavia un problema di non poco conto: le risorse di Atlante, pari inizialmente a 4,2 miliardi, si sono drasticamente ridotte con gli interventi complessivamente pari a quasi 2,5 miliardi nelle ricapitalizzazioni delle due banche del nord est Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Non è un caso che, tra le ipotesi proprio in questi giorni allo studio del governo di Matteo Renzi per sostenere le banche, ci sia anche la nascita di un nuovo veicolo da modellare proprio sulla falsa riga di Atlante e che si occupi di sgravare gli istituti di credito dal peso delle sofferenze. Per questo non mancano gli auspici affinché del progetto facciano parte anche le Casse previdenziali, come ricostruito qui da Formiche.net.
IL NODO DEL PREZZO
C’è di più. Se effettivamente il Monte riuscisse a cedere ad Atlante un pacchetto di crediti inesigibili, andrà monitorato con attenzione il prezzo della transazione. Secondo il Messaggero, come detto, i prestiti insofferenza varrebbero in tutto 1 miliardo lordo. Ora, il problema da cui partono i tormenti del settore del credito ma anche del governo Renzi è che il mercato paga le sofferenze bancarie addirittura sotto il 20% del loro valore originario (o lordo). Ma siccome nei bilanci degli istituti il valore netto di questi crediti è intorno al 40% dell’ammontare lordo, vendere sotto al 20% significherebbe creare un buco nei conti delle banche. Cosa che si sta cercando di evitare con ogni mezzo, a partire dalla nascita di Atlante (la cui missione primaria, se non ci fosse stato il caos delle ricapitalizzazioni dei gruppi veneti, sarebbe stata quella di comprare sofferenze) e passando per il nuovo veicolo allo studio del governo. Ammesso e concesso che lo faccia, sarà perciò molto interessante capire a che prezzo il fondo guidato da Penati acquisterà il pacchetto di sofferenze di Mps. In passato, il numero uno di Intesa (la banca che in Atlante ha iniettato più risorse) Carlo Messina aveva dichiarato che i crediti inesigibili sarebbero stati comprati a un prezzo coincidente col valore di carico dei bilanci, ma Penati non era parso totalmente in sintonia con questa eventualità. Ecco perché si era ipotizzato un prezzo a metà tra quello inferiore al 20% del valore originario dettato dal mercato e il 40% implicito dai bilanci.