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Strage jihadista a Nizza, l’Europa vuole reagire o morire?

L’attacco terroristico a Nizza segna veramente un punto di passaggio. 80 morti e più di 100 feriti sono un ennesimo dramma, un’ennesima tragedia che subiamo dal jihadismo.
Ora, le riflessioni politiche distaccate, i modi di ragionare diplomatici sono distanti dal sentimento che si prova in questo momento.
Non è possibile ragionare a fondo senza prima far parlare il cuore, il sentire di tutti noi, di tutta la civiltà. Lacrime e pianti, certo, ma fino a quando?
Una dura reazione: nessuno chiede di più, nessuno chiede di meno.
Se siamo impreparati a gestire la follia criminale di un genocidio perpetuo che si continua a rivolgere sulla nostra bella e inerme vita, ebbene noi, noi Francia e noi Europa, non possiamo rimanere fermi, non possiamo rimanere inermi davanti ad un terrorismo così selvaggio e infame. Non è più possibile rimanere calmi. È indispensabile non subire più passivamente, non stare ancora ad attendere nuove vittime.
In attesa di avere un pronunciamento chiaro delle comunità islamiche, mai giunto finora, dobbiamo procedere a schedatura ed espulsioni, dobbiamo imporre un controllo massiccio sulle comunità islamiche.
Dopodiché sulla base di un’iniziativa dura e cruda, forse anche ingiusta, di questo tipo, operare per estirpare l’ISIS dal mondo in tutti i modi militarmente possibili. Se anche ormai lo Stato Islamico arretra ovunque, il mondo civile deve coalizzarsi per cancellare ogni credito e ogni concessione nei nostri Stati a quanto è ambiguamente accolto e ospitato da noi con troppe tutele e troppa liberalità.
Un’ennesima tragedia non può garantirne un’altra, domani e poi dopodomani, solo perché noi siamo civili e deboli e loro non lo sono per niente, ma sono apparentemente forti.
Occorre unire tutte le democrazie per eliminare dalla terra questo cancro di morte. Costi quel che costi. Dobbiamo farlo, anche se forse qualche innocente dovrà pagare il prezzo ingiusto di lasciare l’Europa fino a prova contraria.
Reagire o morire: meglio reagire. Perché noi siamo Stati liberi, e proprio perciò dobbiamo con forza difendere questo privilegio.

 


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