Skip to main content

Vi racconto l’infinita guerra civile in Europa (e occhio alla Turchia di Erdogan)

La guerra civile in Europa non è finita mai. Chi la “scopre” adesso, dopo le stragi di Parigi, Bruxelles, Nizza ha la memoria corta. O, forse, vuol far intendere che l’Europa, almeno dal 1945, è stata in pace con se stessa. Ma non è così.

Tutto cominciò quel 28 giugno 1914 a Sarajevo. Caddero sotto i colpi del giovane anarchico Gavrilo Princip l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono d’Austria-Ungheria, e la sua consorte morganatica Sophia Chotek duchessa di Hohenberg. Da quel duplice omicidio si sprigionò l’incendio che avrebbe avvolto nelle fiamme l’intera Europa, distruggendo imperi e nazioni, annientando popoli, rendendo evidente come un’ “inutile strage” poteva diventare utilissima per qualcuno: tutti, comunque, persero qualcosa, perfino coloro che da vincitori si sedettero attorno al “tavolo della pace” a Versailles dove la guerra civile europea venne di fatto codificata. Essa entrò in effetti nel novero delle possibilità che di lì a poco si sarebbero concretizzate per dare un “ordine nuovo” al Continente. Prodotti di guerre civili sono stati i totalitarismi affermatisi tra il 1917 ed il 1939. Guerre civili hanno insanguinato la Spagna alla metà degli anni Trenta e l’Italia tra il 1943 ed il 1945. Nello stesso torno di tempo sono divampate più o meno ovunque lotte feroci aventi a protagonisti tutti contro tutti. Guerre civili si sono combattute al di là della Cortina di ferro per liberarsi dal comunismo fino al 1989. E guerra civile è stata quella vergognosa nei Balcani, sempre a Sarajevo e dintorni come epicentro, includendo l’orrendo bombardamento di Belgrado effettuato dalla Nato tra marzo e maggio 1999: oltre duemila civili morti di cui ottantanove bambini, poco più di mille soldati e poliziotti caduti. Il Kosovo, culla della cultura e dell’identità serba, venne così abbandonato da quel che rimaneva della Jugoslavia diventando un “protettorato” più che una nazione sovrana. Da quelle parti ci si sarebbe scannati ancora e non è detto che se non ci fossero le forze di interposizione internazionali non ci si scannerebbe ancora, soprattutto non sopravviverebbero i monasteri ortodossi di fronte alla furia degli islamisti kossovari.

Vogliamo includere nella categoria di “guerra civile”, senza dimenticare il conflitto ceceno ed il tentativo di erigere un Califfato caucasico,  quanto sta accadendo ad opera dei terroristi musulmani nell’Europa occidentale? È più che legittimo.

I terroristi, quasi sempre, sono europei, nati e cresciuti nelle nostre nazioni; educati, indottrinati ed armati al riparo di modeste ed improvvisate madrasse nelle periferie delle grandi città; operano sul suolo continentale con la libertà di cittadini comuni perché tali sono. Non appartengono ad un esercito regolare, ma applicano le regole (o “non regole”, se si vuole) della “guerra asimmetrica”. Non sono individuabili, né classificabili, né decifrabili perciò possono colpire dove  e quando vogliono, in piccoli gruppi o come “lupi solitari”. Questa tecnica rimanda, con comprensibili distinguo, alla Teoria del partigiano elaborata da Carl Schmitt ed ebbe il primo precedente illustre nella guerra anti napoleonica in Spagna. Gli “irregolari” sono i soggetti principali, quando non esclusivi, della guerra civile. La dimostrazione è sotto i nostri occhi.

L’ultimo fronte di guerra civile che si è aperto è quello turco. Per quanto non sia ancora chiara la dinamica che ha portato al fallimento del colpo di Stato – un colpo di Stato, in verità, che più anomalo non lo si potrebbe immaginare – resta il fatto che da esso Erdogan è uscito rafforzato, ancorché sostanzialmente isolato sul piano internazionale come dimostrano le tiepide dichiarazioni dei leader che non possono rompere con la Turchia. Rafforzato, ma al prezzo di dover sostenere con metodi certamente non ortodossi una permanente guerra civile strisciante: l’opposizione si consoliderà e non mancheranno reazioni, sostenute perfino dall’esterno, al pugno duro dell’autocrate di Ankara che spingerà verosimilmente sull’acceleratore dell’islamizzazione della Turchia ancor più di quanto non abbia fatto finora.

Se le piazze e le strade di Istanbul si sono riempite in poche ore di gente che ha quasi fronteggiato a mani nude i tank manovrati da soldatini confusi ed impauriti, vuol dire che il processo di omologazione della società turca è arrivato ad un punto di non ritorno: Erdogan, smentendo se stesso rispetto a quanto prometteva nel 2002 e poi solennemente giurava di mantenere assumendo l’anno dopo i poteri effettivi di primo ministro, ha progressivamente portato l’Akp, il partito musulmano, su posizioni sempre più avanzate tanto da guadagnarsi la fiducia di Hamas e non trovare nulla di disdicevole nel fare affari con l’Isis mentre Abu Bakr al-Baghdadi insanguinava l’Europa, incendiava il Medio Oriente, minacciava il Mediterraneo.

Non sarà probabilmente un colpo di Stato a spazzare via Erdogan, ma la via turca alla democrazia è talmente ostruita che vi saranno nel corso del tempo tentativi per abbattere i muri che si frappongono all’esercizio dei diritti civili, con buona pace di quegli intellettuali democratici che non hanno perso tempo nel pronunciarsi in difesa della Costituzione dimenticando che la Costituzione è di fatto sospesa: non è soltanto la vendetta contro i presunti golpisti dilettanti ad inquietare, ma la dimostrazione è nell’arresto o defenestrazione di oltre duemila magistrati (non s’è capito a che titolo), un modo tutt’altro che surrettizio di colpire uno dei tre poteri dello Stato di diritto a quasi un secolo di distanza dalla Rivoluzione kemalista.

I presupposti della guerra civile, dunque, ci sono tutti. L’Europa che immaginava di trattare con un regime in qualche modo “omologato” agli standard continentali si scopre disorientata. Gli Stati Uniti, che certamente se ne rendono conto, hanno i loro uomini nella base di Incirlik in ostaggio della Turchia, mentre devono difendersi dalle accuse di Erdogan di proteggere il presunto l’ispiratore del golpe che sarebbe Fethullah Gulen,  imam e politologo, riparato da anni in Pennsylvania, già amico ed ispiratore di Erdogan dal quale si allontanò quando comprese ben prima degli altri le intenzioni autocratiche del suo ambizioso discepolo.

L’Europa, dunque, permane in uno stato di guerra civile: latente in alcuni periodi, violenta e visibile in altri. Un destino al quale non sembra sia stata capace di sottrarsi. Centodue anni fa l’incendio divampava furioso. Vogliamo, una volta per tutte, ammettere che non si è mai spento?


×

Iscriviti alla newsletter