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Cosa preoccupa le Fondazioni liriche

Dario Franceschini

C’è una piccola mina nascosta tra le pieghe del dl Enti locali, appena licenziato dal Senato. Qualcosa che riguarda molto da vicino il mondo della cultura, le Fondazione liriche per la precisione. In pratica, gli organi di gestione dei principali teatri dell’opera italiani. Ma cosa sta succedendo nell’universo dell’opera e della lirica?

COSI’ TRABALLANO I FINANZIAMENTI PUBBLICI

Da quasi una cinquantina di anni, per la precisione dal 1967, le Fondazioni liriche vivono grazie a dei contributi pubblici, erogati ogni anno attraverso il Fondo per lo spettacolo. Tutto nasce dalla cosiddetta Legge Corona numero 800, che assegna agli enti in questione le risorse necessarie al proseguo dell’attività. Con la crisi dei teatri poi, con meno italiani che per risparmiare vanno meno spesso all’opera, tali contributi sono diventati pressocché vitali per le Fondazioni. Qualcuno però al governo la pensa diversamente visto che tra le pieghe del dl appena approvato, relatrice la senatrice Pd Magda Zanoni,  c’è una norma che subordina dal 2018 l’erogazione dei contributi al rispetto di precisi paletti in materia di bilancio ed efficienza gestionale. Infatti chi entro il 31 dicembre 2018 non raggiungerà, per esempio, il pareggio di bilancio, dimostrandosi poco virtuoso, verrà declassato a “teatro lirico-sinfonico” con conseguente decadenza dei fondi e (quasi) inevitabile chiusura dei battenti.

TUTTI I (NUOVI) PALETTI DEL GOVERNO ALLE FONDAZIONI

Ma quali sono i nuovi stringenti paletti fissati dal governo per permettere ai teatri di continuare ad usufruire del sostegno statale? Oltre al pareggio di bilancio e dunque al risanamento dei propri bilanci, bisognerà provvedere ad una solida efficienza gestionale, per esempio non impiegando risorse umane in eccedenza, oppure mostrare capacità di reperire risorse private, dunque autofinanziarsi e staccare il cordone ombelicale con lo Stato. Infine, internazionalizzarsi e garantire un certo numero di spettacoli e produzioni, per evitare di ricevere soldi pubblici senza fare il proprio mestiere. Tutto in una norma che qualcuno ha già definito come “ammazza settore”.

COSI’ LE FONDAZIONI RISCHIANO DI RIMANERE A SECCO

Insomma, per le quattordici Fondazioni liriche attive in Italia tira una brutta aria. Visto e considerato che alcuni dei maggiori enti (Roma, Cagliari, Napoli, Bologna, Firenze, Palermo e Trieste) sono alla prese con un delicato processo di risanamento, propedeutico all’ottenimento di complessivi 160 milioni previsti dalla cosiddetta Legge Bray, dal nome dell’ex ministro della Cultura. Senza risanamento niente soldi, ma soprattutto declassamento sicuro a partire dal 2018. A Genova per esempio, la Fondazione Teatro Carlo Felice, sta vivendo mesi di angoscia, con i soldi in cassa quasi finiti e l’impossibilità di usare i fondi della legge Bray, bloccati per l’appunto fino a risanamento compiuto. Poi c’è il discorso crisi, con gli italiani che tagliano gli extra, teatri compresi.

TEATRO (NON) TI CONOSCO PIU’

Ad aumentare ancor di più il rischio di uno stop ai finanziamenti pubblici, c’è poi la crisi in cui sono sprofondati i teatri d’Italia. Secondo alcuni dati resi noti di recente, ad oggi solo 9 italiani su 100 vanno all’opera, mentre secondo l’Istat un italiano su cinque diserta regolarmente mostre e teatri. Dunque, pochi ingressi e pochi introiti a fronte di spese per la manutenzione del personale, delle strutture e delle compagnie.

L’ALLARME DEI SINDACATI

La norma comporta rischi elevati, oltre al fatto di mettere in crisi un pezzo di cultura. Secondo la Fials Cisal, per esempio, “questo decreto vuole trasformare i lavoratori del settore in precari o stagionali”. Il che vuol dire, una potenziale fuga di talenti. Allarme più che giustificato visto e considerato che il testo della norma parla chiaro. “Le fondazioni che non raggiungano il pareggio di bilancio sono tenute a prevedere opportune riduzioni dell’attività, comprese la chiusura temporanea o stagionale e la conseguente trasformazione temporanea del rapporto di lavoro del personale, anche direttivo, da tempo pieno a tempo parziale”.



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