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Caro Stefano Parisi, le pare davvero realistica ora un’Assemblea Costituente?

Stefano Parisi

Una lettera di Stefano Parisi a Repubblica per cercare di spiegare meglio il suo progetto alternativo alla riforma costituzionale di Matteo Renzi, alla quale lui voterà no nel referendum ora previsto a fine novembre, non chiarisce in realtà niente. Gli consente sì di distinguere il suo no da quello gridato o sguaiato degli altri, in un arco che va da sinistra a destra, da Gustavo Zagrebelsky e Antonio Ingroia a Renato Brunetta e a Matteo Salvini, uniti dall’obiettivo di una bella crisi di governo dopo la prova referendaria, ma non dimostra la praticabilità dell’Assemblea Costituente da lui proposta per fare meglio la riforma contestata al presidente del Consiglio.

I diciotto mesi scarsi a disposizione di Parisi e di quanti altri ne condividono la proposta per allestire, diciamo così, la premessa della nuova riforma, cioè una legge costituzionale per spianare la strada all’elezione, con sistema elettorale proporzionale, di un’Assemblea Costituente simile a quella eletta nel 1946, rimangono purtroppo quelli. Né Parisi o altri per lui potrebbero prolungare questa legislatura per darle il tempo di realizzare il progetto. Restano dannatamente diciotto mesi scarsi, nei quali Parisi dimentica peraltro di inserire anche quelli necessari alla promozione e allo svolgimento di un referendum confermativo, come quello che dovrà svolgersi sulla riforma di Renzi, se il ricorso ad un’altra Assemblea Costituente dovesse essere approvato con una maggioranza inferiore ai due terzi dei componenti di ciascuna delle due Camere. Le quali sopravviverebbero con le loro attuali e identiche funzioni nel caso di una bocciatura referendaria delle modifiche volute dal presidente del Consiglio.

Pensare di poter realizzare il progetto di una nuova Assemblea Costituente in meno, diciamo anche molto meno, di un anno e mezzo, e in un clima politico che sarebbe a dir poco avvelenato da una sconfitta subita dal Pd guidato da Renzi, che ha già fatto sapere, dopo un primo annuncio di “ritorno a casa”, di non volere invece rinunciare alla segreteria se non sarà un nuovo congresso a sconfiggerlo, è pura illusione. E’ un esercizio dialettico inconsistente, per quanto ottimismo possa muovere in buona fede Stefano Parisi. Che è arrivato addirittura a pensare e a scrivere a Repubblica che il suo piano potrebbe far votare gli italiani per la Costituente già nella primavera del 2017, cioè fra i cinque e i sette mesi dopo il referendum di fine novembre. Via, Parisi, cerchi di essere più realistico.

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Una prova di quanto già sia avvelenato il dibattito sul referendum confermativo della riforma costituzionale di Renzi, e di quante macerie potrà provocarne la bocciatura, con le conseguenti difficoltà a muoversi fra le rovine per mettere su un altro cantiere, l’ha appena data Carlo Freccero in un’intervista a suo modo onesta, cioè franca, al Foglio.

Il consigliere di amministrazione alla Rai designato dal movimento grillino ha praticamente rivendicato il diritto, come oppositore di Renzi, di “strumentalizzare” ogni occasione e ogni problema per fargli la guerra. E così l’avvicendamento avvenuto alla direzione del Tg3, per quanto “previsto” e normale dopo sette anni di conduzione di Bianca Berlinguer, è stato da lui osteggiato e rappresentato come una operazione di potere, se non la vogliamo chiamare epurazione, voluta e compiuta per allineare i telegiornali e l’informazione della Rai al sì referendario e, più in generale, alla politica del governo in carica.

Sarebbero state insomma le circostanze dell’avvicendamento al vertice del Tg3 – per quanto all’ex direttrice siano stati assegnati nuovi e per niente marginali spazi nella rete, con strisce quotidiane di commento o approfondimento e poi anche con due seconde serate, peraltro in collaborazione col rientrante e per niente renziano Michele Santoro – ad autorizzare Freccero e le altre voci dell’opposizione ad alzare le barricate e ad aprire contro il presidente del Consiglio un’altra offensiva.

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Sul versante della sinistra interna al Pd la situazione non è migliore in termini di animosità e di volontà di strumentalizzare tutto in funzione della lotta ad un segretario quanto meno indigesto.

Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, dove i dissidenti del Pd trovano ascolto e protezione, a volte persino rimbrottati perché non farebbero abbastanza contro Renzi, ha lanciato con un astuto articolo di Fabrizio d’Esposito una campagna, o quasi, per fare cambiare mestiere a Bianca Berlinguer, sfruttandone la sostituzione alla guida del Tg 3 e soprattutto il nome, cioè il fatto di essere la figlia dello storico e popolare segretario del Pci Enrico, se non il più popolare per le circostanze drammatiche in cui morì nel 1984. Fu una morte praticamente sul campo, essendo stato colto il leader comunista da un ictus mentre arringava i militanti e simpatizzanti del partito in un comizio a conclusione di un’accesa campagna elettorale.

Evidentemente a corto di candidature abbastanza forti o credibili per rovesciare Renzi al prossimo congresso, o anche prima, per quanti sforzi faccia il giovane ex capogruppo della Camera Roberto Speranza di crescere e di farsi apprezzare, si cerca ora di montare una candidatura, appunto, di Bianca Berlinguer. E ciò incuranti dell’autorete che essa costituirebbe perché farebbe della figlia dello scomparso leader comunista non la seria professionista ingiustamente rimossa dalla direzione di un telegiornale, secondo i suoi compagni, dopo una lunga e onorata carriera cominciata dal grado più basso, ma una militante politica, destinata in quanto tale a subire i successi e i rovesci di un’attività di partito. Una cosa che penso destinata ad essere rifiutata dall’interessata per la stima che le porto e le ho dimostrato difendendola da certe troppo pelose solidarietà ricevute da destra nell’avvicendamento alla guida del Tg3.

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Matteo Salvini, così diversa da quella tutta padana di Umberto Bossi. Ci si mette ora anche la natura, visto che l’acqua del Monviso da cui nasce il Po, e attorno alla quale Bossi celebrava i suoi riti ogni anno, scarseggia. La Stampa ci ha appena informati che la sorgente dopo appena 35 chilometri si estingue “in un paesaggio di pietre arse al sole”.


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