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Il buon esempio della ricostruzione del Friuli per il governo Renzi e il post terremoto nel centro Italia

E’ terminato nella serata di ieri il Consiglio dei Ministri numero 126 che ha deliberato lo stato di emergenza e lo stanziamento dei primi 50 milioni di euro per l’emergenza del terremoto che ha devastato il Centro Italia. “Il ministro Pier Carlo Padoan – ha annunciato il premier Matteo Renzi – si accinge a firmare il blocco delle tasse nelle zone colpite dal sisma.” Le decisioni adottate dal governo Renzi nella fase  successiva al terremoto, che ha colpito Lazio, Marche ed Umbria, riportano alla mente l’azione dell’esecutivo Moro a favore della ricostruzione quarant’anni fa, subito dopo il terremoto che sconvolse il Friuli la sera del 6 maggio 1976 e che provocò quasi un migliaio di vittime.

COME AGI’ IL GOVERNO MORO IN FRIULI

Prima di tutto fu posta in atto la delega dello Stato alla Regione Friuli Venezia Giulia necessaria alla ricostruzione. La mattina del 7 maggio si riunì il Consiglio dei ministri, presieduto da Aldo Moro, che nominò Giuseppe Zamberletti commissario straordinario del Governo. Mercoledì 12 maggio si tenne una seconda riunione del Consiglio dei ministri che approvò il decreto legge 227 (convertito nella legge 336 del 29 maggio 1976) che conteneva i provvedimenti urgenti e la delega alla Regione per la ricostruzione. Ma tra le date in cui si tennero  i due Consigli ministeriali suddetti, si verificarono due fatti importanti. Il primo: Aldo Moro arrivò in Friuli a meno di 48 ore dal sisma.

COME FU RICOSTRUITA GEMONA

L’8 maggio un elicottero militare atterrò alla base di Rivolto ed il capo del governo venne portato fino a Gemona. “Ad aspettarlo – ricorda Salvatore Varisco, assessore della giunta regionale di allora – oltre al sottoscritto ed presidente della Regione Antonio Comelli, c’era il sindaco Ivano Benvenuti. Dopo un veloce sopralluogo alla parte bassa della città salimmo su un cumulo di macerie. Lì restammo, per un attimo, con lo sguardo rivolto alla città alta andata distrutta. Con un senso d’impotenza Comelli si girò verso il premier e gli disse: ‘Presidente, vorrei porle una domanda. Crede che potremmo gestire noi direttamente la ricostruzione del Friuli?’.Moro  lo guardò per un attimo in silenzio. Sul volto un’espressione perplessa. Poi gli risposte: ‘Ve la sentite di assumere un impegno così gravoso?’. ‘Ci proveremo – gli rispose Comelli – Non dovessimo riuscirci allora chiederemo aiuto allo Stato’. Andò così”.

LA CONFERMA A PALAZZO CHIGI

Il secondo evento avvenne lunedì 10 maggio: a Palazzo Chigi si tenne un incontro nella stanza del capo della segreteria del Presidente del Consiglio al quale presero parte il succitato Comelli; Mario Toros, ministro  del Lavoro nel quinto Governo Moro e friulano; e il deputato democristiano Piergiorgio Bressani, del Friuli anche lui. Scopo dell’incontro era un primo esame delle proposte avanzate dai ministeri per far fronte all’emergenza. Ad un certo punto della riunione si affacciò alla porta dell’ufficio Aldo Moro che, rivolgendosi a Comelli, gli chiese conferma se la Regione se la sentiva di assumersi l’incarico della ricostruzione. “L’episodio è noto – ha rammentato l’ex senatore Dc Diego Carpenedo – perché Toros  lo ha più volte ricordato. Comelli rispose di sì ma non fu lui a chiedere il comando delle operazioni di ricostruzione.L’idea, tutta di Moro, della delega si trasformò allora nella parte iniziale del decreto legge 227 e venne confermata dal Parlamento prima durante la conversione del decreto e poi con l’approvazione di tutti gli altri provvedimenti che si occuparono della ricostruzione del Friuli”.

IL RUOLO DEI SINDACI SECONDO ZAMBERLETTI

Anche Giuseppe Zamberletti ha mantenuto un’idea precisa di quella che fu la linea del governo nei giorni successivi al sisma friulano:”Bisognava scegliere – ricorda quello che diventò ministro della Protezione Civile dall’inizio degli anni Ottanta fino al 1987 nei governi Spadolini, Craxi e Fanfani – una autorità la quale racchiudesse in sé il potere decisionale che in ambito nazionale esercita il presidente del Consiglio. E questa figura la individuammo nei sindaci. A loro fu affidata la responsabilità di dirigere e gestire tutte le forze a disposizione. Non solo quelle del territorio, che generalmente erano abbastanza esigue, ma anche quelle fornite dallo Stato: forze armate, vigili del fuoco, squadre di soccorso provenienti da altri Paesi. Insomma, i sindaci erano i comandanti di tutte le forze in campo per fronteggiare l’emergenza. non mi dimenticherò mai quello che mi hanno insegnato in quei difficili giorni”.

LE PAROLE DI MATTARELLA 40 ANNI DOPO

Nel quarantesimo anniversario del sisma friulano, il Presidente della Repubblica si è recato, prima di tutti gli altri comuni, proprio in quello di Gemona che contò 400 morti e che è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile.”È stato un dolore – ha ribadito Sergio Mattarella – che non potrà mai essere colmato. Ma dopo quel dolore indimenticabile le popolazioni del Friuli diedero una lezione fondamentale: rialzarsi e ripartire. È la volontà degli uomini a fare la differenza. Una lezione che viene spesso orgogliosamente affermata dal popolo italiano, qui e all’estero. E dopo essersi rialzata dal terremoto la Regione Friuli, ricca di una forte identità  ha affrontato la prova e si è posta traguardi più ambiziosi giungendo a una crescita che ha portato all’affermazione di un modello socio-economico comune al Triveneto; in quel Nord-Est così capace di innovazione e di internazionalizzazione”.

LA LEZIONE DA SEGUIRE

Ora per le popolazioni di Lazio, Umbria e Marche colpite dal terremoto è il momento del dolore e del disagio. Ma verranno anche per loro i giorno in cui riusciranno a rialzarsi e ripartire. Quel che è accaduto in Friuli quarant’anni fa lo dimostra. E le parole che il Presidente del Consiglio ha espresso ieri sera vanno in questo senso: “La ricostruzione di quei borghi – ha assicurato – è una priorità del governo e del Paese”.


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