Le drammatiche vicende del terremoto in un’area dell’Italia centrale al confine fra Lazio, Umbria, Marche ed Abruzzo con il loro carico pesantissimo di vittime, dolore e distruzione hanno portato all’attenzione della grande opinione pubblica nazionale l’esistenza di alcune zone del Paese che – al pari di numerose aree del Mezzogiorno – sollecitano da tempo interventi strutturali di rilancio, che d’ora in avanti dovranno raccordarsi in sequenza temporale alle politiche per l’emergenza.
Riteniamo opportuno sottolineare l’esistenza di queste zone nel cuore dell’Italia centrale e i complessi problemi paesaggistici, economici, sociali, culturali e storico-architettonici che il forte sisma sta accentuando di giorno in giorno per ricordare, ove pure ve ne fosse bisogno, che nel nostro Paese non esistono soltanto con le loro pur legittime esigenze molti territori del Sud – a favore dei quali i professionisti del Meridionalismo sollecitano sempre nuove risorse nazionali e comunitarie, senza poi chiedersi se e come vengano spese – ma si manifestano anche altri bisogni territoriali che meritano eguale attenzione e interventi complessi e la cui urgenza è stata ora sottolineata dall’evento sismico.
L’area dell’Alto Lazio orientale che ne è stata colpita non è fra quelle con il più elevato tasso si crescita dell’intera regione che trova, invece, nella Capitale e nei robusti poli industriali del Frusinate e di Latina i suoi punti di forza.
Al riguardo è interessante osservare che già negli anni dell’Intervento straordinario in favore del Mezzogiorno, veicolato con gli interventi della Cassa, anche le aree di Latina e Frosinone – pur essendo nella parte centrale del Paese – furono ammesse ai suoi benefici così come, del resto, l’area del Reatino. E anche nelle Marche furono proprio alcune zone dell’Ascolano ad essere inserite fra quelle beneficiarie degli interventi della Cassa. Pertanto sin dall’inizio degli anni Cinquanta il legislatore era pienamente consapevole che le aree depresse del Paese non erano circoscritte all’Italia meridionale, ma erano individuate anche in quella centrale, se è vero che la stessa Maremma toscana era inserita fra quelle interessate dagli interventi della Casmez.
Ora, il terremoto del 24 agosto ha messo nuovamente a nudo in vasti territori lontani dalle grandi città fragilità di varia natura aggravate da errori e (forse) responsabilità di persone e Istituzioni che probabilmente non sempre hanno fatto il loro dovere in termini di prevenzione, costruzioni e collaudi antisismici; ma su questo dovrà indagare la Magistratura.
Il Mezzogiorno d’Italia – nel quale peraltro molte aree di diverse regioni sono ormai interessate da dinamiche socioeconomiche che le stanno portando fuori dall’Obiettivo convergenza riguardante invece quelle a più basso tasso di sviluppo – presenta dunque le sue criticità, ma dispone di una quantità di risorse comunitarie e nazionali ragguardevoli che dovranno essere spese da oggi ai prossimi anni secondo le linee stabilite nei recenti Patti sottoscritti dall’Esecutivo con Regioni e Città metropolitane. Le zone interessate dal sisma, al contrario, non hanno beneficiato di fondi veicolati da Patti simili a quelli firmati dal Governo Renzi con le Istituzioni locali del Meridione ed ora pertanto, insieme a quelli necessari per la ricostruzione delle abitazioni, dovranno beneficiare di risorse idonee a rilanciarne e a consolidarne lo sviluppo secondo le loro vocazioni in cui si coniugano agricoltura di alta collina, zootecnia, filiere lattiero-casearie, produzioni cerealicole, trasformazioni pastarie, industrie leggere, turismo.
E la ripresa economica di quel cratere sismico, oltre ad essere il frutto della grande generosità del popolo italiano, dovrà mobilitare ingenti finanziamenti nazionali ed europei per contribuire non solo alla rinascita di quei territori, ma anche alla crescita dell’intero Paese, come del resto accade nel Sud che è una leva per lo sviluppo di tutta l’Italia.
Federico Pirro – Università di Bari