L’intervista di Carlo De Benedetti al Corriere della Sera merita attenzione. Era abbastanza prevedibile che la politica e lo stesso Matteo Renzi rimanessero colpiti dal dato più contingente: le dimissioni del premier in caso di vittoria del no.
Ma questo è solo uno dei tanti segnali di quel divorzio che ormai si è prodotto tra l’agire del “palazzo” e gli andamenti più significativi dei processi reali. Il condizionamento vero della nostra esistenza.
Per una di quelle strane coincidenze, l’intervista è pubblicata lo stesso giorno in cui il WTO – l’Organizzazione mondiale del commercio – lancia il suo grido d’allarme sullo stop, ormai sistemico del commercio internazionale. Dopo gli anni d’oro della globalizzazione che, da quel carburante, aveva tratto il maggior alimento. Il forte rallentamento intervenuto, dopo la grande crisi del 2008, è la dimostrazione plastica di un cambiamento di fase, che non può non preoccupare.
De Benedetti stressa tutti gli elementi di allarme che sono presenti nella situazione internazionale. Quanto all’Italia nemmeno parlarne. Basti pensare alle ultime stime del Governo su crescita, deficit e debito. L’aspetto più inquietante, legato a deflazione e stagnazione, è il malessere crescente della classe media. Il pericolo ch’esso si trasformi in pulsioni distruttive del vecchio equilibrio sociale ed in una rottura profonda con l’establishment economico e finanziario.
Una cesura che rischia di mettere in gioco valori profondi. Che riguardano gli stessi futuri equilibri democratici. E’ pertanto necessario – questa la tesi di fondo – che le élite, fino a ieri divise dal divergere degli interessi soprattutto economici e di potere, ritrovino la loro unità di fronte alla marea montante degli antagonismi. Nelle forme varie che si presentano nella realtà internazionale. Che Stefano Parisi abbia, quindi, il coraggio di restituire “Salvini alle valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza“, convergendo verso il centro, rappresentato da Matteo Renzi.
Questa: la parte più esoterica del suo ragionamento. Una simile ipotesi non può essere esclusa a priori. Ma prima che la profezia si realizzi occorrono ben altri passi. Iniziando da un uso non disinvolto e di parte della finanza pubblica da parte del premier. Passando per l’esito del referendum. Per approdare, infine, verso un comune denominatore programmatico. Che oggi – lo dimostra la Nota di aggiornamento al Def – non si vede all’orizzonte.