Presidente della regione Toscana, candidato alla segreteria del Pd, convinto sostenitore del Sì al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre e fautore di un ritorno alle origini che rimetta al centro delle politiche del partito la parola “socialismo“. Si potrebbe riassumere con queste poche parole il pensiero di Enrico Rossi, in un certo senso rappresentante atipico della sinistra dem: un competitor interno di Matteo Renzi che però – a differenza di alcuni esponenti della minoranza – non sembra considerare il presidente del Consiglio un corpo estraneo al partito, se non addirittura un vero e proprio impostore.
Presidente è questo che la differenzia, ad esempio, da Massimo D’Alema?
La prima cosa che mi differenzia direi che è l’età. Sono vecchio anche io, ma meno di lui.
Molti rappresentanti della minoranza – non solo D’Alema – sembrano essere contrari a Renzi a prescindere dal referendum. E’ così?
Dal mio punto di vista bisogna sfidare Renzi sui contenuti, sulle proposte concrete e sul merito delle questioni. Non ci si può certo limitare al referendum costituzionale a cui peraltro io voterò Sì.
Ci arriveremo tra poco. Ma su quali aspetti, in particolare, pensa sia giusto incalzare Renzi e competere con lui?
In campo sociale ed economico prima di tutto. E poi sull’idea di partito che abbiamo. E’ il momento del coraggio, il momento di tornare a utilizzare la parola socialismo, che – nonostante le polemiche del passato – è ancora in grado di rappresentare la nostra idea della società.
Che vuol dire per lei socialismo?
Vuol dire, ad esempio, che è necessario regolare il mercato, da solo insufficiente a risolvere tutti i problemi, come questa interminabile crisi economica ci sta insegnando. La sinistra ha disertato per troppo tempo la critica del capitalismo.
Il ministro Calenda qualche giorno fa ha criticato la globalizzazione selvaggia, mentre un prof. clintoniano come Robert Reich parla apertamente di crisi imperante del capitalismo. Cosa sta succedendo?
C’è ormai una chiara contraddizione tra capitalismo senza regole e democrazia. Che Calenda lo riconosca è senz’altro apprezzabile. Significa che è un persona che – riconoscendo nel capitalismo il sistema fondamentale – si pone il problema di come salvarlo dai suoi impatti più negativi. Devo ammettere, poi, che il suo piano Industria 4.0 è molto interessante.
Perché?
Perché evidenzia una correzione, sia pure solo parziale, delle politiche economiche del governo. Industria 4.0 è una buona idea perché prevede investimenti a supporto dell’impresa che investe. E, quindi, del capitale sano. Mi pare sia la strada giusta da seguire per far uscire finalmente il paese dalla crisi.
Industria 4.0 a parte, che giudizio dà della legge di Bilancio di Matteo Renzi e Piercarlo Padoan?
Mi pare ci sia un segnale di attenuazione della lotta all’evasione fiscale che non condivido: è un messaggio che non mi piace. La legge, però, parzialmente corregge la tendenza a distribuire le risorse un po’ a casaccio per concentrarsi sulle imprese che realmente investono. Bene i due miliardi in più per la sanità e gli altri due destinati ai pensionati. Però avrei chiesto un sacrificio a chi percepisce le cosiddette pensioni d’oro. Un altro punto debole a mio avviso rimangno, infine, anche gli investimenti pubblici troppo scarsi.
Ma sono troppo bassi perché i fondi non ci sono o per altri ragioni a suo avviso?
C’è sicuramente un’esagerata dissipazione di risorse in tanti rivoli per andare incontro a esigenze di categoria. E poi si dovrebbe puntare più seriamente sulla lotta all’evasione fiscale. Si tenga conto che secondo alcune statistiche per ogni 5 miliardi di investimenti pubblici si creano circa 100.000 posti di lavoro.
Perché ritiene che non si faccia abbastanza nella lotta contro l’evasione fiscale?
Non mi riferisco tanto alla proposta di cancellare interessi di mora e sanzioni delle cartelle esattoriali: certi aspetti vessatori vanno attenuati. Però bisogna evitare che chi paga si senta preso in giro. Bisogna fare di più nell’evasione fiscale relativa all’IVA che è ancora molto elevata. Perché la fatturazione elettronica incontra tutte queste resistenze? E’ possibile che in buona parte del mondo io possa pagare anche un quotidiano con la carta di credito mentre in Italia siamo ancora così indietro?
Che ne pensa del braccio di ferro che Renzi ha ingaggiato in Europa sulla legge di bilancio?
E’ una battaglia che dobbiamo fare: questa è l’Europa del mercato e non l’Europa sociale che avevano pensato i padri fondatori. L’avvertenza che faccio a Renzi è di non utilizzare toni troppo aspri quasi da ri-nazionalizzazione: il rischio in questo senso è che si trovi a utilizzare argomenti tipici di una propaganda populista. Però non c’è dubbio che il presidente del Consiglio abbia avuto forza, e la capacità di farsi ascoltare molto più che in passato. Questo è certamente un suo merito.
E’ possibile o auspicabile dal suo punto di vista uno schema che veda lei segretario Pd e Matteo Renzi candidato premier? Ci sarà una scissione tra queste due cariche?
Posso solo dire che se facessi il segretario mi dedicherei esclusivamente a quell’incarico per quattro anni: è prioritario che qualcuno pensi solo alla ricostruzione del partito. Finora non lo ha fatto nessuno, ma a questo punto è necessario occuparsene. Sono convinto che la democrazia possa continuare a esistere solo grazie al ruolo dei partiti, per quanto oggi da riformare e cambiare. E poi il presidente del Consiglio lo nomina il presidente della Repubblica.
Il suo non mi pare un No. E’ così? Renzi accetterà secondo lei di separare i due ruoli?
Non ho fatto accordi o patti con nessuno. Non so, può darsi che ci siano le condizioni perché avvenga quanto lei sostiene, ma non è detto.
Le pare che Renzi dopo questi anni passati al governo sia diventato più dialogante oppure no?
Renzi è questo: alla natura non si comanda. Non mi pare sia cambiato molto. Più che dialogare, è bravo ad impegnarsi punto su punto. Però poi mostra anche diversi limiti tra cui, ad esempio, l’incapacità di scegliersi la squadra giusta.
Domanda d’obbligo sulla legge elettorale: deve essere modificata oppure no?
Penso che vada cambiata su vari aspetti. Innanzitutto per quanto riguarda i capolista nominati direttamente dal partito. Inoltre ridurrei l’ampiezza delle circoscrizioni: è necessario siano più piccole per garantire che i territori siano realmente rappresentati. E infine sono favorevole a un premio da riconoscere alle coalizioni e non al partito. Ciò detto sono sicuro sia un bene che all’esito delle elezioni ci sia un vincitore chiaro.
Perché ha deciso di votare Sì al referendum?
Voterò Sì malgrado Renzi. Scherzi a parte, la riforma contiene elementi positivi, anche se molto dipenderà dalla sua attuazione. Buttare via due anni e mezzo di lavoro in un infinito gioco dell’oca potrebbe essere rischioso per il Paese. Da parte mia, però, massimo rispetto per chi vota No.
Teme che i toni di queste ultime settimane possano portare a una scissione del Pd?
Vorrei fare da pompiere e, quindi, su questo aspetto cerco di non polemizzare. Ho richiamato Renzi sulla necessità di dialogare con gli esponenti Pd che sostengono il No. Allo stesso modo a chi si dice contrario alla riforma chiedo di mantenere questa battaglia politica all’interno di confini ben limitati. Bisogna evitare che si generino spaccature irrimediabili, anche perché io mi candidato alla segreteria del Pd e vorrei che esistesse anche il 5 dicembre.
D’Alema, però, ha promosso i comitati riuniti del No insieme con Gaetano Quagliariello, Gianfranco Fini e molti altri esponenti politici lontanissimi dal vostro mondo. Ha superato quei limiti cui stava accennando?
Rispetto il presidente D’Alema, non sono tra coloro che pensano si debbano attaccare gli avversari politici con l’insulto. Tantomeno chi nella storia della sinistra ha ricoperto un ruolo così importante. Ciò non significa che si debba condividere. Non la condivido, ma rispetto la sua battaglia.
Oggi pomeriggio lei presenta il suo libro-manifesto – Rivoluzione Socialista – insieme con Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio ed esponente di Sel disponibile al dialogo con il Pd. C’è ancora margine per un’alleanza con i partiti che esistono alla vostra sinistra?
Penso che questa possibilità esista ancora. Bisogna continuare a lavorare su un’ipotesi di coalizione di centrosinistra. Il Pd non deve pensare di essere esaustivo di tutto lo schieramento progressista.
Ciò elimina alla radice la possibilità di un’alleanza con i centristi di Casini o di Alfano? Oppure no?
C’è sicuramente un’area di centro che merita di essere ascoltata. Ma dipende anche da loro, da cosa intendano fare e dalla formazione politica unitaria cui decideranno eventualmente di dar vita. Se però l’Italicum dovesse rimanere così com’è – con il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione – le cose in questo senso si complicherebbero molto.