La progettazione prima di tutto, per far sì che con la ricostruzione non si disperda il valore storico, artistico e culturale dei nostri borghi millenari. “E’ un rischio reale, al quale però dobbiamo rispondere con un no secco e deciso“, sottolinea in questa conversazione con Formiche.net Paolo Portoghesi. L’architetto romano – autore di numerose opere in Italia e nel mondo, tra cui la Torre del Respiro a Shanghai e la Corte Reale giordana ad Amman – non ha dubbi su quale debba essere la priorità da seguire dopo gli ultimi tre terremoti che hanno sconvolto il centro Italia da agosto in poi: “Progettare è urgente. Il rigore strutturale non può bastare: occorre anche uno sforzo unitario affinché i comuni distrutti dal sisma tornino ad avere caratteristiche il più possibile analoghe a quelle del passato“.
D’altronde – evidenzia Portoghesi – si tratta della “necessità più profonda che sta emergendo in queste ore” anche dalle parole delle popolazioni terremotate. Un’esigenza che l’Italia – per le sue peculiarità storiche e culturali – non può permettersi di sottovalutare: “Questi territori rappresentano una parte vitale e imprescindibile del nostro Paese, con le sue tradizioni e le sue eccellenze amate in tutto il mondo. Si pensi all’altopiano di Castelluccio di Norcia con le sue celebri lenticchie che vengono vendute e mangiate ovunque. E’ giusto che gli agricoltori di quel territorio tornino ad avere il loro habitat originario, ovviamente con caratteristiche di sicurezza e di modernità adeguate“. Il pericolo, altrimenti, è che queste aree vengano abbandonate per sempre.
Per dirla più semplicemente – spiega il professore universitario dell’università romana La Sapienza – bisogna “elaborare un piano che non si sostanzi in un frettoloso sistema di otturazione dei buchi“. Ciò che serve è – al contrario – “un atteggiamento preveggente che rafforzi la capacità di resistenza al sistema nelle zone a più alto rischio” e che garantisca, al tempo stesso, una ricostruzione che tenga conto del vissuto di questi territori.
A questo riguardo – rivela ancora Portoghesi – la cultura italiana ed europea si differenzia nettamente, ad esempio, da quella del Giappone dove i terremoti sono ancora più duri e ricorrenti che nel nostro Paese. Nel Sol Levante – osserva Portoghesi – “le case non sono considerate monumenti, ma formano un tessuto quasi provvisorio di costruzioni“. Da qui la relativa serenità che vige quando si tratta di ricostruire, perché in tal senso – salvo alcune eccezioni – non si avverte la necessità di ricreare le condizioni e le caratteristiche del passato.
Un ragionamento valido per il Giappone ma inapplicabile a noi: “Uno degli aspetti più significativi della nostra cultura è rappresentato dal valore in sé che per noi rivestono i borghi e i paesi e, con loro, gli edifici che vi sorgono. Anche le case più umili, più povere – e non solo gli edifici monumentali – possono essere portatrici di una qualità artistica inarrivabile“. Anzi in molti casi è proprio l’ambiente urbano l’elemento principale delle nostre città: “Ci sono paesi in cui la qualità complessiva dell’habitat è molto più importante della presenza di alcuni monumenti. Certo a Norcia ci sono la Castellina del Vignola – che tra l’altro ha resistito egregiamente alle scosse – e la Basilica di San Benedetto che purtroppo è crollata. Però è la cittadina in quanto tale a rappresentare un capolavoro, con le sue case che si allineano e che vanno a costituire un insieme omogeneo“.
In Giappone, dunque, così come in altri Stati – da questo punto di vista – tutto “è più facile perché basta ricostruire con rigore tecnico e strutturale“. In Italia, invece, – sostiene Portoghesi – c’è qualcosa in più da considerare e rispettare: “Purtroppo e per fortuna abbiamo questa grande eredità da conservare: il senso del nostro Paese come opera d’arte, che ci impone una responsabilità aggiuntiva”. Elemento che deve costituire la principale bussola di riferimento da seguire per procedere alla complessa fase della ricostruzione a cui – evidenzia ancora Portoghesi – è essenziale faccia riferimento anche la politica: “Occorre una nuova sensibilità“.
E se la politica dovesse dimostrarsene priva? “Allora che il mondo della cultura alzi compatto la sua voce. La politica e le istituzioni non potranno non ascoltare“.