Nel Transatlantico di Montecitorio questa settimana i crocicchi tra i deputati si sono intensificati in maniera direttamente proporzionale all’arrivo degli ultimi sondaggi, tutte rilevazioni che danno il No in netto vantaggio sul Sì. Naturalmente ancora non si sa come andrà a finire e i sondaggi hanno dato di sé pessima prova alle elezioni americane, ma negli ultimi giorni si è ricominciato a tessere la tela degli scenari in caso di vittoria del No. In questi passaggi delicati le chiacchiere s’infittiscono mentre diminuiscono le dichiarazioni ufficiali: in politica quando si annusa una tendenza è anche tempo di riposizionamenti, quindi anche una parola o un’allusione fuori posto possono diventare dannosi e ritorcersi contro nell’immediato futuro. Prudenza, dunque, e silenzio. Almeno per quanto riguarda i big che hanno carte da giocare nella partita. In Parlamento, però, le seconde e le terze file parlano, tracciano visioni, ipotizzano scenari. E per il post referendum, nel caso vinca il No, secondo il gossip parlamentare gli orizzonti sono tre: un governo istituzionale, un Renzi-bis di scopo, un governo politico che arrivi fino al 2018.
Il primo scenario è la situazione classica: Renzi perde, si presenta dimissionario davanti al presidente della Repubblica, che non lo reincarica oppure lo reincarica e lui rifiuta. A quel punto un mandato verrebbe affidato a un’alta figura istituzionale, e il nome in pole position è quello del presidente del Senato Pietro Grasso ma si parla anche del ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, per dare vita a un esecutivo di alto profilo per rifare la legge elettorale (l’Italicum dovrà essere comunque corretto visto che non contempla il voto per Palazzo Madama) e traghettare il Paese fino a scadenza di legislatura, varando magari un piccolo pacchetto di riforme da concordare con le forze politiche, magari cercando di dare una sistemata ai conti pubblici. L’esecutivo in questione dovrebbe essere sostenuto da una larga maggioranza, larghe intese in cui sarebbero coinvolte anche forze ora all’opposizione. Grasso, naturalmente, ci spera ma ufficialmente si schermisce (“Io alla guida di un governo di scopo? Fantapolitica”). Il problema è che tale ipotesi sembra averla messa da parte lo stesso Renzi annunciando un no a governi tecnici o governicchi e facendo intuire che il Pd non sosterrà ipotesi di tal fatta. Ma in politica mai dire mai: dopo il 4 dicembre l’ex sindaco di Firenze avrebbe tempo e modo di ripensarci, a seconda della convenienza. E comunque, con un Renzi fuori da Palazzo Chigi, per lui è meglio un esecutivo guidato da una figura istituzionale piuttosto che da un esponente politico, magari del suo stesso partito.
La seconda ipotesi è un governo di qualche mese che rifaccia la legge elettorale e riporti presto il Paese alle urne, nella prossima primavera. Questo, naturalmente, potrà farlo sia un governo istituzionale che un Renzi-bis, un nuovo esecutivo guidato dall’attuale premier con nuovi ministri e un programma limitato. La scelta, naturalmente, starà soprattutto a Sergio Mattarella, ma anche a Renzi. La domanda, infatti, è la seguente: conviene a Renzi condurre una campagna elettorale come candidato premier guidando allo stesso tempo il governo? Secondo i boatos del Transatlantico la risposta è no: Renzi farebbe bene a cedere lo scettro, così da potersi candidare alle prossime elezioni con le mani libere. Sempre che, naturalmente, vinca il congresso del Pd e resti segretario, ipotesi tutt’altro che scontata.
L’ultimo scenario è quello di un governo più politico guidato da un esponente del Pd con l’appoggio dell’attuale maggioranza allargata magari anche a Forza Italia (e in questo scenario, come anche nella prima ipotesi, un ruolo chiave lo avrà Silvio Berlusconi). I nomi che circolano sono quelli di Dario Franceschini, Andrea Orlando e Carlo Calenda. Per Renzi questa è l’ipotesi peggiore – secondo molti renziani – perché, se è vero che avrà la golden share di un tal esecutivo da segretario del Pd (e quindi potrà staccargli la spina in qualsiasi momento), dall’altro vedrebbe rafforzarsi a Palazzo Chigi un possibile avversario nella partita per la leadership, che a quel punto si riaprirebbe completamente. Con la conseguenza che molti renziani della seconda e terza ora si dimentichino di esserlo e rivolgano altrove il proprio amorevole consenso. In questo caso Renzi rischia di veder sgretolarsi la sua leadership e di perdere terreno all’interno del suo partito, arrivando così molto più debole al congresso che dovrà decidere il nuovo segretario, ma anche il candidato premier alla guida del Paese.
Queste chiacchiere si fanno in queste ore nel Transatlantico di Montecitorio, con un ulteriore interrogativo: Sergio Mattarella quanto sarà disposto a remare dalla parte di Renzi (che lo ha fatto eleggere al Quirinale) nella difficile partita che si apre in caso di vittoria del No?