“Da più di venti anni ci lamentiamo giustamente perché l’Italia è bloccata. Il referendum di domenica è l’occasione che stavamo aspettando per iniziare davvero a cambiare le cose: non possiamo sprecarla“. Il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti Simona Vicari non ha dubbi: il 4 dicembre – afferma l’esponente del Nuovo Centrodestra in questa conversazione con Formiche.net – “gli italiani avranno la possibilità di imprimere una svolta reale a questo Paese. Il Sì non è nell’interesse del governo ma di tutti noi italiani. Mi auguro che alla fine non prevalgano le forze della conservazione che vogliono tenere ferma l’Italia“, dice a Formiche.net Vicari che martedì scorso è intervenuta al seminario organizzato da Formiche sul tema delle smart city. Al dibattito hanno preso parte anche il direttore della Comunicazione di Metropolitana Milanese Luca Montani, il consigliere del ministro della Pubblica Istruzione Francesco Grillo e Andrea Gumina (Policy Advisor G7 Sherpa Office).
Perché l’attuale Carta va riformata?
Perché il sistema attualmente in vigore ha dimostrato – già da parecchio tempo – di non funzionare più e di non essere in grado di affrontare e risolvere i problemi del nostro tempo.
Cambiare tanto per cambiare?
No, assolutamente. Con questa riforma costituzionale l’ordinamento giuridico italiano cambia in meglio.
Le opposizioni – tra cui anche Forza Italia – dicono però che non è così.
Questo testo è stato largamente condiviso da Forza Italia che – non a caso – lo ha votato anche in Parlamento. La decisione finale di schierarsi a favore del No dipende da considerazioni tutte politiche che nulla hanno a che vedere con il merito della riforma. Lo stesso – anche se in misura diversa – può dirsi a proposito di molti degli altri partiti che sono appiattiti su una posizione contraria: lo fanno per colpire il governo, ma non si rendono conto che a rimetterci è tutta l’Italia.
Entrando nel merito della riforma, qual è l’aspetto più importante secondo lei?
Sono molteplici, ma – anche alla luce del mio ruolo all’interno del governo – penso sia giusto citarne uno in particolare: la riforma del Titolo V con la modifica dei rapporti tra Stato e Regioni.
Cosa c’è che non va nel testo oggi in vigore?
Quella fatta dall’allora centrosinistra con la riforma del 2001 è stata una scelta sbagliatissima: troppo potere alle Regioni con conseguente aumento fuori controllo del contenzioso di fronte alla Corte Costituzionale. A questo proposito basta considerare quanto siano aumentati di fronte alla Consulta i casi di conflitto tra Stato e Regioni: nel 2000 rappresentavano il 6% del totale, oggi ben il 41%. Così non si può andare avanti.
E gli effetti quali sono stati?
Molto negativi, soprattutto per le imprese, che si sono trovate schiacciate in questo continua polemica tra lo Stato e le Regioni per capire chi debba decidere cosa. Le aziende, di conseguenza, hanno finito con il fare una cosa molto semplice: ridurre gli investimenti per evitare di rimetterci soldi, nell’attesa che fosse stabilito a chi spettasse la competenza.
Con la vittoria dei Sì, invece, come cambierebbe la situazione?
Finalmente si arriverebbe a mettere un punto definitivo sul potere dell’uno e delle altre. L’imperativo è semplificare la vita delle persone e delle imprese e questa riforma lo fa perché stabilisce con certezza cosa spetti decidere allo Stato e cosa, dall’altra parte, alle Regioni.
In particolar modo il testo riporta allo Stato una serie di materie che erano state attribuite alle regioni. E’ una riforma centralista?
Non è così: questa è una riforma approvata con l’obiettivo specifico di mettere ordine in una situazione di caos che ha finito il danneggiare le imprese e, in molti casi, direttamente anche i cittadini.
A cosa si riferisce?
Oggi a un cittadino della Campania o della Calabria possono spettare cure diverse da quelle cui possono accedere, invece, gli abitanti del Piemonte o del Veneto. Le pare giusto? Lo sto toccando personalmente con mano con mia madre, che ha bisogno di alcune cure speciali: in Sicilia, però, non sono disponibili ed è costretta a spostarsi in Lombardia. La salute è un diritto che deve essere garantito allo stesso modo a tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione in cui vivono.
Ci sono anche altre materie che tornano alla competenza dello Stato tra cui le infrastrutture di cui lei si occupa all’interno del governo. Quale logica persegue la riforma?
E’ semplice: in alcune materie di chiaro interesse nazionale – come, appunto, le infrastrutture – si è stabilito che la competenza spettasse allo Stato e non alle regioni. In questo modo, ad esempio, la costruzione di una strada o di un’autostrada non sarà più soggetta al veto del consiglio comunale di turno. Lo stesso potrebbe, però, dirsi anche per il commercio: le autorizzazioni necessarie ad aprire un’attività commerciale saranno le stesse in tutto il Paese. Non è più possibile che ognuno faccia a modo suo, perché la conseguenza è scoraggiare gli investimenti e bloccare l’Italia.
Riforma costituzionale a parte, qual è l’esigenza che lei avverte più forte per rimettere in moto l’economia italiana?
Come ho avuto modo di sottolineare nel corso del seminario organizzato da Formiche (qui l’articolo sul dibattito, qui la conversazione con Luca Montani di Metropolitana Milanese e qui le foto firmate Umberto Pizzi) è fondamentale che si giunga ad una piena e totale collaborazione tra pubblico e privato. Io sono stata sindaco a Cefalù, in provincia di Palermo: le garantisco che i buoni risultati ottenuti, soprattutto dal punto di vista del turismo, sarebbero stati impossibili senza gli imprenditori del territorio, con cui ho pianificato le linee di sviluppo da seguire e poi ho realizzato concretamente quei progetti. Questo coinvolgimento li ha responsabilizzati e li ha convinti a partecipare a un processo di crescita della loro terra. Che è stato positivo per Cefalù, per i cittadini, per i turisti e anche per le imprese.
Ma così che ruolo rimane al pubblico?
Il pubblico – date le difficoltà economiche esistenti in Italia e considerata la necessità di fare in fretta per recuperare il tanto terreno perso – può arrivare fino a un certo punto. Gli spettano ancora, in particolare, la pianificazione – insieme con le imprese – e il controllo. Per il resto, però, è necessario coinvolgere sempre più i privati.