Era necessario questo corto circuito? Necessario no, inevitabile forse sì. Quando il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha pronunciato i nomi di Christian Movio e di Luca Scatà nella conferenza stampa a poche ore dell’uccisione di Anis Amri, più di uno ha alzato il sopracciglio per la sorpresa perché sembrava istintivo tutelare i due agenti protagonisti di un’operazione così importante e pericolosa. Fin dalle 7,30 del 23 dicembre (dunque poco più di quattro ore dopo i fatti) era stata diffusa una circolare del capo della polizia, Franco Gabrielli, che chiedeva di tutelare al massimo i poliziotti e chiunque indossi una divisa perché “non si possono escludere azioni ritorsive”. Dopo le polemiche, è lo stesso Gabrielli a intervenire parlando con l’Ansa e sgombrando il campo da ogni dubbio: “Fare i nomi con questo tipo di terrorismo non è né un errore né un’esposizione perché non siamo in presenza di un terrorismo come quello che abbiamo conosciuto negli anni Settanta, un terrorismo endogeno che ha interesse a colpire il singolo, dunque Franco piuttosto che Mario o Cristian. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso”. La preoccupazione, infatti, “non è per le individualità, ma per l’appartenenza: sono a rischio tutti coloro che rappresentano le forze di polizia e hanno una divisa”.
E’ vero che da tempo Gabrielli mette in guardia poliziotti, carabinieri, militari: “Sono sette mesi – spiega – che dico ‘attenzione, ognuno di noi può essere un obiettivo’. Ma sono anche mesi che lavoro sull’orgoglio e sul senso di appartenenza dei poliziotti e degli uomini e delle donne delle forze di polizia e, nel momento in cui è fondamentale tenere alto l’orgoglio di chi vive con la divisa, il ministro non ha fatto altro che galvanizzare chi ogni giorno opera indossando proprio una divisa”. D’altra parte, siamo nell’era degli smartphone e dei social network e la prima foto di Movio mentre sta telefonando nel letto d’ospedale dopo l’operazione alla spalla è stata chiaramente scattata con un cellulare. In pochissimo tempo i giornalisti di Milano ne sono entrati in possesso e la valanga sarebbe stata impossibile da fermare se anche al ministero avessero deciso diversamente. Minniti, che certo non è uno sprovveduto, era talmente entusiasta del risultato ottenuto dalla nostra polizia da aver considerato normale la pubblicizzazione dei nomi per legittimo orgoglio, come sottolinea il giorno dopo il capo della Polizia, e perché al Viminale sapevano che prima o poi quei nomi sarebbero venuti fuori. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, parlando poco dopo, si è adeguato al suo ministro.
Che ci fosse il “via libera” ufficiale lo dimostra il comunicato dell’ufficio stampa della Polizia diffuso verso le 12,30 con allegata la foto di Movio in ospedale, che era già presente sui principali siti d’informazione. Nello stesso tempo, però, è evidente che non tutti siano stati d’accordo: il questore di Milano, Antonio De Iesu, ha annunciato l’immediata chiusura dei profili social dei due agenti invitandoli a non farsi prendere dall’emotività e si è rifiutato di dire i loro nomi in una conferenza stampa, anche se erano già noti. La conclusione è che a questo punto il silenzio dovrebbe calare su quei due giovani poliziotti, anche se riceveranno ricompense come la promozione per meriti straordinari già proposta dal questore: loro stessi e i loro familiari evitino le telecamere e l’informazione si concentri sugli sviluppi di quello scontro a fuoco, mentre migliaia di pattuglie continueranno giorno e notte un controllo a tappeto del territorio italiano. Ha ragione Gabrielli quando rileva che “è abbastanza avvilente che, mentre tutto il mondo parla di noi e si complimenta con la Polizia per il lavoro svolto, noi continuiamo a farci del male guardando il dito e non la luna”.