Una presa di distanza da Gianfranco Fini. Ma anche l’idea di organizzare un conclave delle destre per cercare di formare una nuova classe dirigente politica. Queste le linee guida uscite dall’ultima riunione del comitato scientifico della Fondazione An diretto da Marcello Veneziani. La fondazione è la depositaria dell’immenso patrimonio del Msi, prima, e di Alleanza nazionale, poi: un tesoro da circa 180 milioni di euro, in beni mobili e immobili. Un bel gruzzolo che da sempre fa gola a molti, ma nessuno è mai riuscito ad appropriarsene: il denaro è gestito appunto dalla Fondazione, che però non può utilizzarlo per fare politica direttamente, ma solo per attività culturali legate alla politica, come la mostra sul Msi ancora in corso in Via della Scrofa a Roma (qui la gallery di Umberto Pizzi).
Ora, alla luce dei particolari emersi sulla vicenda della casa di Montecarlo (che una ricca vedova decise di donare al Msi alla metà degli anni Novanta), dal comitato scientifico si chiede alla fondazione una presa di distanza nei confronti dello stesso ex leader di An. Nelle poche righe si esprime “il disagio e la sofferenza di quanti si sono riconosciuti per anni nel grande patrimonio ideale, morale e politico della destra nazionale e sociale”, ma “una vicenda così oscura non può trascinare con sé un’intera area politica e una comunità di più generazioni”. Insomma, la fondazione “deve intraprendere tutte le iniziative conseguenti per tutelare l’onorabilità e l’eredità spirituale, storica e patrimoniale della destra nazionale e dei suoi militanti”.
Questo per quanto riguarda Fini. Poi c’è il resto. Innanzitutto cambiare nome da Fondazione An a, per esempio, Fondazione Italia, in modo da non fare più riferimento a un partito ormai morto “e anche morto male”, spiega Veneziani. L’iniziativa più importante, però, è organizzare un “conclave delle destre”, per vedere di mettere in piedi una piattaforma in cui le varie forze di destra nel Paese possano confrontarsi e discutere. Un nuovo partito? Un nuovo soggetto unitario? “Questo non è un compito che spetta in modo diretto alla fondazione, che può soltanto mettere la cornice per cedere se ci sono le basi per una prospettiva comune tra le varie formazioni”, osserva Veneziani. Perché, secondo il giornalista-scrittore, “uno spazio politico per una nuova formazione di destra in Italia c’è: elettori che votano Fi perché non c’è nulla di meglio, elettori che non votano, quelli che votano per la Lega di Salvini, quelli che addirittura scelgono Grillo”. Un partito che vada dalla tutela della famiglia alla tutela della sovranità nazionale. “Meloni e La Russa fanno la loro parte e la fanno bene, ma non basta. Una formazione di destra deve avere l’ambizione di andare oltre il successo televisivo della sua leader”, osserva Veneziani. Insomma, la Fondazione, come un Diogene con la sua lanterna, dovrebbe mettersi in cammino per vedere se esiste la possibilità di dare vita a un nuovo partito di destra in Italia che raccolga l’eredita degli elettori di An, ma creando qualcosa di profondamente nuovo, con una giovane classe dirigente. In questo quadro s’inserisce anche l’idea di potenziare la scuola di formazione politica “con l’esplicito scopo di far nascere la classe dirigente di domani”.
L’impresa, però, sembra quasi impossibile. Gli eredi di An, infatti, sono una comunità molto divisa al suo interno, solcata da odi, rancori e gelosie ormai ventennali. Anche per questo motivo il patrimonio è congelato nella fondazione e nessuno, per ora, può metterci le mani sopra. Basti vedere il durissimo scontro andato in scena nell’autunno del 2015, quando un gruppo di quarantenni – dietro ai quali c’era tutta la dirigenza ex finiana (Bocchino, Menia, Briguglio) cui si era unito Gianni Alemanno – cercò di prendere il potere al vertice della fondazione, tentativo respinto grazie all’asse tra gli ex missini confluiti in Forza Italia (Gasparri e Matteoli) e il gruppo di Fdi (La Russa e Meloni). Alla fine il voto sancì il mantenimento dello status quo, dopo una battaglia di tre giorni in cui volarono pure insulti e spintoni.
Altro settore di cui occuparsi, secondo Veneziani, è il Secolo d’Italia, ormai un giornale online che incide poco sul dibattito politico quotidiano. L’idea sarebbe quella di un nuovo giornale, sempre sul web, accompagnato da un settimanale cartaceo. Inoltre, secondo il comitato scientifico, va potenziato l’ufficio stampa della fondazione, così da dare il maggior risalto possibile alle iniziative. “Se alcuni di questi progetti appaiono visionari – si legge in conclusione del documento – allora è di atti visionari che ha bisogno oggi il nostro mondo per svegliarsi, riunificarsi e rilanciarsi come credibile alternativa alla politica e all’antipolitica degli show man, delle sette di fanatici dilettanti, di corrotti o di conformisti del politically correct”. Auguri.