Sono giorni di movimenti tellurici in casa Grillo. Dopo la svolta garantista del Codice Etico e la boutade della Giuria Popolare per i crimini dei media Beppe Grillo aveva proposto ai suoi di compiere una vera e propria rivoluzione, svestire i panni degli anti europeisti e andare a sedere in Parlamento europeo tra i banchi dell’ALDE (Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa) di Guy Verhofstadt. I sostenitori del M5S, interpellati attraverso la piattaforma Rousseau, approvano la giravolta ma a scucire la trama imbastita dall’eurodeputato pentastellato David Borrelli sono le divisioni interne all’ALDE che costringono Verhofstadt a declinare l’intesa. Al rifiuto Grillo risponde con un post dal suo blog in cui accusa l’establishment di aver voluto frenare l’avanzata del M5S.
LA POSIZIONE DI PETER GOMEZ
Tra i giornalisti di spicco italiani che più seguono M5S l’unica voce moderatamente possibilista sull’intesa Alde-M5S è stata quella di Peter Gomez. Il direttore de Ilfattoquotidiano.it, in una video chat trasmessa prima del rifiuto dell’ALDE, spiegava la decisione di Grillo. “I 5 stelle si erano già rivolti ai Verdi che li avevano mandati a stendere, a quel punto si rivolgono all’ALDE perché hanno due necessità, la prima legata al loro futuro, il gruppo con Farage è destinato a morire perché quando si eleggerà il nuovo Parlamento non ci saranno più eurodeputati inglesi” – ha detto Gomez – Dall’altra parte c’era la necessità di smarcarsi dalle posizioni dell’UKIP e hanno scelto lo stesso gruppo che ha ospitato I Radicali, l’IDV e i Ciudadanos. In ogni caso agli elettori importa davvero poco dove stanno i 5 stelle nel Parlamento europeo”. Gomez ha sottolineato poi i punti di contatto tra M5S e ALDE: “I 5 stelle credono di poter un giorno governare e non vogliono accomunarsi troppo con altri movimenti populisti. Qualcosa in comune con l’Alde c’è, penso all’utilizzo della rete, lo sviluppo della legislazione, la green economy e a questo punto la revisione delle regole per stare all’interno dell’euro. Questa cosa non nasce da Grillo ma dagli europarlamentari”.
IL COMMENTO DI MARCO TRAVAGLIO E STEFANO FELTRI
Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano – uno dei pochi media non disprezzati dai grillini – nel suo editoriale odierno dopo aver parlato di “figuraccia rimediata dai 5 stelle”, si concentra sul termine “establishment”. “La parola chiave è ‘establishment’, usata da Grillo l’altro ieri per caldeggiare la svolta e ieri per spiegare il dietrofront dei possibili partner [..]. L’establishment è l’insieme dei poteri costituiti che i movimenti anti sistema come i 5 stelle contestano e vogliono abbattere con sistemi democratici” – scrive Travaglio sulla prima pagina del Fatto – Ma dei quali, contemporaneamente e paradossalmente hanno bisogno per condurre una battaglia democratica secondo le regole”. Nel Parlamento europeo le regole prevedono che gli eurodeputati che non fanno parte di alcun gruppo siano di fatto esclusi dal processo legislativo. “L’Alleanza con Alde era una scelta mediata: esclusa l’opzione dei Verdi – i tedeschi si oppongono perché non vogliono al loro interno forze populiste- i liberali parevano l’approdo perfetto” – scrive il vicedirettore del Fatto Stefano Feltri – “filo europei con un leader di puro establishment (uno che va alle riunioni del Bilderberg), senza parlamentari italiani e trasversali allo schema destra – sinistra italiano, così da evitare accuse di inciucio”. Ma tra le aspettative di Grillo “il vero beneficio per il Movimento sarebbe stato quello di rimuovere la pregiudiziale anti europea” prosegue Feltri, e la necessità di Verhofstadt di assicurarsi il voto dei 17 grillini alle prossime elezioni per la presidenza del Parlamento europeo si sono frapposte le tante anime che compongono ALDE, contrarie al matrimonio con un movimento che si trova agli antipodi rispetto alle posizioni di liberalismo europeista. I “no” più pesanti sono arrivati dai liberali tedeschi e francesi con Marielle De Sarnez e Sylvie Goulard, avversaria interna di Verhofstadt il quale, ora, dovrà provare a ricostruirsi una credibilità dopo essere stato sconfessato dai suoi.
FIRME E INTELLETTUALI CRITICI
In Italia i giornalisti e intellettuali appassionati delle traversie del M5S hanno, più o meno in blocco, criticato aspramente la rivoluzione liberale grillina. Molto duro è stato l’attacco di Claudio Messora, con un passato da capo della comunicazione del M5S ed ora contestatore dei metodi utilizzati del leader Grillo, che in un post su Facebook, non esita a definire il “no” dei liberali un vero e proprio “Fallimento politico”. “Questo, per chi ha portato M5S in questa triste situazione, di converso si chiama “FALLIMENTO POLITICO”: avere esposto tutto il movimento alla perdita di credibilità di chi cerca di chiudere un progetto, una legge, una risoluzione, qualunque cosa, e gli viene poi sbattuta la porta in faccia all’ultimo” – ha scritto Messora. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il professor Paolo Becchi, filosofo del diritto e un tempo uno dei pensatori di punta del M5S ed ora uno dei suoi critici più competenti: “La rete ora serve solo a legittimare decisioni già prese, a questo punto vorremmo sapere da chi”, ha scritto Becchi sul suo blog sul Fatto. Il prof. Becchi, dal suo profilo twitter, arriva poi anche a suggerire la “creazione di un partito sovranista – identitario”. Meno stupito appare Diego Fusaro, filosofo marxista che su Facebook scrive: “Se il Cinque Stelle aderisce all’Alliance of Liberals and Democrats of Europe (ALDE) rifluisce, per ciò stesso, nelle fila del potere liberal-libertario eurocratico, atlantista e ultracapitalista. È bene che lo si sappia. Senza se e senza ma”. Una lettura differente la fornisce Marcello Foa, a lungo giornalista ed inviato di esteri del quotidiano Il Giornale, e sovente ospitato sul blog di Beppe Grillo, che dal suo personale blog si è chiesto come mai Grillo non abbia voluto sfruttare l’occasione di avere un “populista” alla Casa Bianca per accreditarsi come un interlocutore autorevole. “Grillo, incredibilmente, scende dal carro del vincitore. E contraddice se stesso, la propria storia, la propria identità. Lo fa anche nei modi peggiori: lanciando senza preavviso e senza dibattito una consultazione interna nel week-end dell’Epifania” – ha scritto Foa – “E ottenendo il risultato più ovvio: quello di spaccare il Movimento, di disamorare la base e molti sostenitori, di incrinare i rapporti con Farage e con Trump per abbracciare quell’establishment e quei poteri forti che ha sempre dichiarato di voler combattere. Harakiri”. Non usa mezzi termini nemmeno Mauro Suttora, giornalista di Oggi ed esperto del M5S, in un’intervista a Sussidiario.net: “Una figuraccia, ma anche la sua ultima dichiarazione è surreale: adesso accusa i poteri forti di non averlo voluto, poco prima voleva entrare nel club. Sono stati molto più onesti i liberali a dire “no grazie, Grillo non fa per noi”, anche sei ci avrebbero guadagnato in termini di finanziamenti”.