“Fabo è morto alle 11.40: ha scelto di andarsene rispettando le regole di un paese che non è il suo”. Con queste poche parole il radicale Marco Cappato ha commentato, ieri mattina, la morte in Svizzera di Fabiano Antoniani – in arte Dj Fabo – il quarantenne milanese rimasto tetraplegico e cieco dopo un incidente. “Ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale“, ha raccontato ancora Cappato che lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio e che ora rischia l’incriminazione per il reato di aiuto al suicidio. Ecco il pensiero del saggista e filosofo liberale Corrado Ocone.
Da filosofo e da liberale, cosa pensa del suicidio assistito di Dj Fabo?
Voglio premettere che, personalmente, non ho una soluzione alla questione dell’eutanasia: credo, però, che sarebbe necessaria – mai come oggi – una discussione seria sul tema, lontana dall’approccio ideologico di questi giorni.
Quindi?
Che si deve sgomberare il campo dai paragoni. Questo è un caso molto diverso dai precedenti che hanno riguardato Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Si è trattato di un suicidio assistito in piena regola e non di eutanasia passiva come nelle altre due vicende.
Quale lezione trarre da questa drammatica storia?
Sinceramente mi ha destato molte perplessità. Oggi – forse senza rendercene bene conto – abbiamo delegato così tanto allo Stato da chiedergli addirittura di aiutarci a morire. E’ un paradosso enorme per un liberale. Il liberalismo è nato con lo Stato moderno al quale, man mano, abbiamo attribuito sempre più compiti in un processo storico che l’ha portato a essere una sorta di balia iperprotettiva. Al punto da arrivare a chiedere che riconosca il diritto al suicidio.
Pensa dunque che non debba esserci un intervento normativo in materia?
Il suicidio è sempre esistito, ma è una scelta individuale, che si può apprezzare o non apprezzare e che può essere più o meno motivata. Il paradosso è che si rimproveri allo Stato di non garantircelo, di non darcelo per legge. Da liberale si tratta – a mio avviso – di un’autentica perversione di quelli che sono i compiti dello Stato.
Perché?
Non tutti i diritti possono essere riconosciuti dettagliatamente dallo Stato, tantomeno quello al suicidio. Più ciò avviene e più si limita lo spazio della libertà personale. Ma ormai prevale l’ideologia dei diritti e, cioè, la pretesa che certe cose ci siano dovute.
Quindi l’approccio ideologico sulla questione si sta palesando sia da una parte che dall’altra?
C’è la posizione estrema di chi dice che queste pratiche non devono essere assolutamente permesse e quella di chi afferma, al contrario, che lo Stato deve per legge garantirle, magari con il cosiddetto testamento biologico. Sono entrambe estreme visto che entrano nella sfera individuale. La prima in maniera palese perché vuole imporre a tutti le scelte ritenute migliori da quelle che potremmo definire le agenzie della moralità. Anche la seconda, però, lo è, seppur in modo più sottile.
In che senso?
E’ la pretesa di avere diritti o – come ha detto Stefano Rodotà – il diritto ad avere diritti. E’ un’ideologia a tutti gli effetti che conduce alla giuridicizzazione della società e della realtà, e anche alla loro statalizzazione. Lo Stato dovrebbe fare un passo indietro rispetto alle tematiche etiche: sia in un senso che nell’altro.
Come se ne esce?
Con una discussione seria e articolata che ci faccia uscire da questo perenne clima di scontro tra guelfi e ghibellini. Fin quando non riusciremo a uscire da questa logica di fazione contrapposte, non sarà possibile trovare la soluzione umanamente più giusta.