Torna la tensione fra Turchia e Germania ed è almeno la terza volta in pochi mesi. Ankara ha protestato vivamente con Berlino perché al ministro della Giustizia Bekir Bozgdag è stato impedito di tenere un comizio sul suolo tedesco in previsione del referendum del prossimo 16 aprile sul super presidenzialismo, dove l’attuale capo dello Stato Recep Tayyip Erdogan, si gioca il tutto e per tutto. La faccenda non è poi così di poco conto, se si considera che i turchi teutonici sono quasi tre milioni e che il leader islamico gode di grande credito fra gli expat.
Un primo avvertimento a rimanere nei limiti dei confini nazionali sull’azione politica era arrivato lo scorso luglio, quando a una manifestazione a Colonia pro Erdogan dopo il fallito colpo di Stato, Berlino aveva vietato di diffondere un messaggio del presidente della Repubblica di Ankara.
I due Paesi sono ai ferri corti per almeno altri due motivi. Il primo è l’ormai celebre accordo sui migranti, di cui il cancelliere, Angela Merkel, è uno dei principali fautori e che la Turchia minaccia continuamente di fare saltare. Il secondo, arrivato fresco fresco questa settimana, è l’arresto del corrispondente del Die Welt, Deniz Yucel, che ha passaporto turco-tedesco e che è finito dentro con l’accusa di ‘propaganda a organizzazione terroristica’. Sembrerebbe una serie di spallate fra due Paesi che non si sono mai amati molto e con la Germania che ha rappresentato per anni un dei più convinti bastioni contro l’ingresso della Turchia in Unione Europea.
In realtà Berlino deve prendere le misure con un Paese che proprio non riesce (e probabilmente nemmeno vuole) mantenere determinate sfere di influenza entro i propri confini. Fu proprio la Germania il Paese dove negli anni Settanta Necmettin Erbakan, padre politico di Recep Tayyip Erdogan, decise di instaurare la prima cellula del Milli Gorus, l’associazione di riferimento della destra islamica turca. Da quando l’Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, ha preso il potere, nel 2002, è stato accusato più volte di inviare gli imam più conservatori all’estero per radicalizzare le comunità turche che non vivono più in patria. E anche in Germania le preoccupazioni non mancano.
“Nei mesi scorsi – spiega a Formiche Alessandro Alviani, collaboratore del quotidiano La Stampa da Berlino – si erano diffusi malumori per alcuni rumors che riguardavano la collaborazione fra il presidente Erdogan e una sigla terroristica, in particolare i Fratelli Musulmani. Il caso era stato sollevato da una interrogazione parlamentare del partito di sinistra Linke, che aveva ricevuto una risposta riservata da parte dell’esecutivo, dalla quale però il ministero degli Esteri aveva preso una decisa distanza”.
A queste vanno aggiunti fatti concreti: il co-leader dei Verdi, Cem Ozdemir, ha rivelato di aver subito a Berlino minacce da taxisti turchi. A Gaggenau, la città dove si sarebbe dovuto tenere il comizio di Bozdag, c’è stato un finto allarme bomba. A sottolineare come, anche se fuori dall’Unione Europea, la Turchia impatta ed è destinata a impattare ancora di più in futuro sulle società dei singoli stati membri.
Un fiume carsico, celato sotto contrasti ‘ufficiali’, ma che potrebbero costare molto cari al governo tedesco, che Erdogan è arrivato ad accusare di aiutare e ospitare spie.