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Cosa possono fare Serraj e Haftar per pacificare la Libia

Si torna insistentemente a parlare di spartizione della Libia, di una struttura istituzionale di tipo federale con tre componenti, est – Cirenaica, ovest – Tripolitania, sud – Fezzan. E così facendo si cade nuovamente nel tragico errore di applicare le categorie della cultura occidentale, codificate dai tempi di Weimar, ad una situazione socio-culturale che non la capisce e che le è totalmente estranea.

Già ai tempi della conquista italiana della Libia nel 1911 era chiaro che le articolazioni etnico tribali erano molto articolate e complesse. È illuminante osservare come Gheddafi riuscì ad imporre il proprio potere per oltre 40 anni, fino al 2011.

Ben consapevole della realtà sociale dei popoli che abitavano il territorio libico, Gheddafi non creò alcuna struttura amministrativa, ma basò il proprio potere su un rapporto personale diretto con tutti i possibili referenti locali, beninteso con pugno di ferro, in quanto qualsiasi altro tipo di relazione istituzionale sarebbe apparso come una forzatura.

LA FRAMMENTAZIONE POST-GHEDDAFI

Scomparso Gheddafi, le forze centrifughe sono venute prepotentemente alla luce, generando presto una situazione di diffusa anarchia, fortemente agevolata dalla ampia disponibilità di armi, accumulate da Gheddafi in quantità esorbitante rispetto alle reali esigenze del proprio braccio armato.

Si tratta di una frammentazione che poco ha a che vedere con la geografia, atteso ad esempio che Misurata, città costiera, ha inviato unità combattenti nella regione di Sheba, mentre il controllo del territorio appare sempre fragile ed evanescente (sono mesi che Haftar afferma di avere assunto il pieno controllo di Bengasi, salvo poi il verificarsi di nuovi sanguinosi episodi di guerriglia come nella situazione di Ras Lanuf).

Che dire poi della nota posizione di Zintan, che bene all’interno della regione tripolitana ha da sempre mantenuto un atteggiamento filo-Tobruk, probabilmente più per la volontà di evidenziare una sua propria autonomia che per una reale simpatia nei confronti della Cirenaica.

Per osservare infine nel quadrante meridionale la storica contrapposizione tra Tuareg e Tebu, che negli ultimi anni ha ripreso vigore, anche per il controllo dei lucroso traffici attraverso il Sahara, sia di merci di contrabbando che di migranti provenienti da sud e diretti verso il miraggio di una vita migliore in Europa.

VISIONI EUROCENTRICHE E PERSONALITÀ ININFLUENTI

In questo quadro appare ben chiaro che i vari tentativi attuati dalla comunità internazionale per giungere ad un assetto politico stabile sono frutto di una visione eurocentrica, estranea alle culture locali: che si tratti di un governo unitario di unità nazionale (ma esiste una ‘nazione libica’?); che si tratti di una federazione, secondo confini stabiliti da negoziatori esterni; sempre si sta parlando di una visione westfaliana, istintivamente considerata come buona per qualsiasi tipo di società.

Quando poi a questa visione istituzionale si accompagna la selezione di personalità ormai considerate esterne e che non risultano da un dibattito tra i diretti interessati, si può ben dire che si sono messe in campo le componenti per un insuccesso certo.

E poco importa la qualità dei negoziatori che la “comunità internazionale”, leggasi Onu, ha designato: per quanto abili possano essere (e almeno in un caso è lecito dubitare di abilità e buona fede), si è sempre trattato di scelte di personalità che non appartengono a quel mondo, che parlano un linguaggio politico incomprensibile ai loro interlocutori locali, che vengono percepite come portatori di soluzioni imposte dall’esterno e come tali rigettate.

MOSSE A VUOTO E NUOVE INIZIATIVE

Da questo punto di vista la proposta del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres di avvicendare l’inviato per la Libia Martin Kobler con l’ex primo ministro palestinese Salam Fayyad poteva apparire un gesto di saggezza, in quanto quest’ultimo aveva tutte le caratteristiche per non apparire estraneo a tutti gli attori in gioco.

Purtroppo la mossa a sorpresa degli Usa, che si sono opposti a questa nomina, rischia di aggravare ulteriormente la situazione, in quanto si viene a creare un vuoto di credibilità istituzionale che può costituire una tentazione irresistibile per qualche attore locale.

Credo che in tal senso debba essere letta la decisione misuratina di inviare/costituire una propria milizia armata a Tripoli, non si sa bene con quali compiti e quale scopo, se non quello di guadagnare visibilità dopo un periodo di relativa eclissi seguito al successo, pagato a caro prezzo, nella riconquista di Sirte e nell’espulsione della cellula Isis che vi si era installata.

È in ogni caso indubbio che occorra una nuova iniziativa, che non può lasciar fuori alcun attore, esterno ed interno: si è parlato di costituire una sorta di ‘gruppo di contatto’, che dovrà includere Egitto, EAU, Qatar, ma anche Russia e Turchia, oltre che le ‘potenze’ occidentali, Italia in testa, ma anche Francia, Regno Unito, forse la Germania (e ci devono ovviamente essere anche gli Usa).

Ma è sul quadrante interno che occorre cambiare radicalmente atteggiamento: occorre un salto concettuale che consenta di evitare di ridurre le dinamiche interne libiche a una competizione tra Gwell, Serraj e Haftar, in quanto la realtà sociale libica è molto più complessa.

Come ha recentemente affermato il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, bisogna “coinvolgere i rappresentanti di tutte le maggiori forze politiche, dei gruppi tribali e delle regioni, nel lavoro di formazione di singoli enti amministrativi”.

Occorre istituzionalizzare una sorta di “loyajirga”, libica, che permetta una larga autonomia ai singoli detentori del potere locale, ma che vengano mantenuti uniti dal confermato e rafforzato ruolo dei due enti unitari, fondamentali per la coesione dell’insieme, la Noc, National Oil Corporation, e la Banca Centrale, che, in virtù delle risorse energetiche del Paese sono in grado di soddisfare i fabbisogni finanziari di ogni singola comunità.

Si tratta di un processo che richiede molta pazienza, richiede anche che coloro che si ritengono attori principali, a partire da Serraj e da Haftar, facciano se non un passo indietro, un passo laterale, e che necessita di tempo: i risultati si potranno vedere solo a medio termine.

Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, è vicepresidente dello IAI.

(Articolo tratto dal sito AffarInternazionali)



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