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Vi spiego le poche ragioni e i molti torti del governo sui voucher

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La maggioranza (ex premier in testa) che sostiene il Governo del conte Paolo Gentiloni Silverj, scottata dall’acqua bollente del 4 dicembre, non vuole correre rischi neppure con l’acqua fredda del 28 maggio. Così l’esecutivo ha deciso di scippare il referendum dalle mani della Cgil abrogando le norme sui voucher e modificando nel senso proposto dal quesito la disposizione riguardante la responsabilità solidale in caso di appalti. Si tratta di una resa senza condizioni e senza neppur aver tentato di combattere. Tuttavia – una volta passata l’indignazione nei confronti di un sindacato irresponsabile, di una classe politica vile ed inetta e di quanti in questa occasione hanno suonato il piffero alla mistica del precariato – facciamo nostro un apologo popolare: “Soldato che fugge può combattere un’altra volta”. In sostanza, per come si erano messe le cose, l’iniziativa del Governo di prevenire gli effetti del referendum rappresentava l’ultima possibilità di salvare il salvabile.

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Per spiegare l’arcano ricorriamo ad una malattia della psiche molto diffusa nel mondo politico: la paranoia. Alla base c’è un’idea delirante che, tuttavia, il malato sviluppa in modo coerente ed apparentemente lucido. L’idea delirante alla base della paranoia del Governo stava tutta nella convinzione che il referendum si sarebbe potuto perdere. Ciò premesso sono maturati alcuni ragionamenti logici: 1) una revisione restrittiva della disciplina dei voucher non avrebbe garantito l’annullamento del referendum, perché di mezzo c’era il giudizio della Corte di Cassazione sull’adeguatezza delle nuove norme a dare una risposta compiuta ai problemi posti dal quesito referendario, che, lo ricordiamo, non chiedeva modifiche, ma l’abrogazione; 2) le norme bocciate da un referendum non solo vengono cancellate dall’ordinamento, ma ne è impedita – teoricamente – una loro riproposizione; 3) non è così nel caso di una legge che ne abroga un’altra. Si può sempre tornare sulla stessa materia con un altro provvedimento, al limite neppure troppo diverso dal precedente. Si porrebbe al massimo un problema di coerenza politica, ma non di improcedibilità sul piano del diritto. Non si dimentichi, poi, che nella ribollita di norme pomposamente definita “Carta dei diritti universali del lavoro”, la stessa Cgil indica un percorso – ancorché discutibile – per la definizione di quelle che sono chiamate, negli articolo 80 e 81, “schede” per il lavoro occasionale. Del resto negare che vi sia l’esigenza di reperire delle norme flessibili e pratiche per retribuire i “lavoretti” è talmente ovvio da non lasciare dubbi, sempre che permanga un minimo di onestà intellettuale.

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C’è un passaggio che non torna. È lecito varare un decreto legge a compimento di questa operazione? Dove stanno le ragioni di necessità e urgenza richieste dall’art.77 Cost.? È forse necessario ed urgente annullare lo svolgimento di un referendum e quindi impedire agli italiani di esprimersi attraverso il voto? Si è forse scoperto che i voucher portano il virus del colera? Non scherziamo. Ci rivolgiamo al Presidente della Repubblica che quel decreto deve firmare invitandolo a non trasformarsi i un passacarte per le esigenze del Governo. Tanto più che – a quanto si dice – l’uso dei voucher sarebbe vietato dal 2018. Alla faccia dei motivi d’urgenza.

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E la Confindustria? Sta a guardare. Come le stelle. Come se non bastasse non viene neppure convocata negli incontri che il Governo svolge ormai solo con i sindacati. È diventata un fantasma.

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Il Senato salva (?) Augusto Minzolini. La politica ha reagito positivamente un’altra volta dopo il caso Luca Lotti. In tanti hanno fatto notare il profilo di fumus persecutionis presente nella sentenza di condanna. Si sono dimenticati però un’altra circostanza degna di nota: Minzolini vinse la causa di lavoro con la Rai riguardante la stessa fattispecie (l’uso della carta di credito aziendale) che fu il motivo della condanna in sede penale.


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